Il futuro presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha riacceso l’interesse per l’acquisto della Groenlandia, una proposta avanzata già nel 2019, e ha manifestato intenzioni aggressive verso Panama. Queste non sembrano essere semplici mosse elettorali, ma rientrano in una strategia di politica estera basata sul “dealmaking”, un aspetto distintivo della mentalità trumpiana.
Per quanto riguarda Panama, Trump ha accusato il paese di imporre tariffe eccessive alle navi americane che attraversano il Canale di Panama e ha minacciato una richiesta di restituzione di questa infrastruttura strategica agli Stati Uniti, qualora il governo panamense non acconsentisse alle sue richieste. Dal punto di vista legale, questa ipotesi appare complessa, poiché, dopo essere stata sotto il controllo congiunto degli USA, la gestione del canale è passata interamente a Panama, in virtù di un trattato firmato nel 1970. Tuttavia, data la posizione di forza degli Stati Uniti, Trump sembra ritenere possibile l’uso di pressioni simili a quelle che hanno portato alla revisione del NAFTA, convincendo Messico e Canada ad accettare un accordo più favorevole per gli Stati Uniti. E perché non tentare l’approccio muscolare anche con un paese politicamente vulnerabile e economicamente dipendente dagli USA come Panama?
L’idea dell’acquisizione della Groenlandia, d’altra parte, sembra meno avventata di quanto appaia. Trump, durante la nomina del nuovo ambasciatore in Danimarca, ha espresso il desiderio di acquistare questa vasta isola del Nord, che fa parte del regno di Danimarca. Già durante il suo precedente mandato, aveva sollevato la questione e, di fronte al rifiuto danese, aveva annullato un viaggio a Copenaghen. Questo interesse non è esclusiva di Trump: già dal 1867, gli Stati Uniti hanno considerato l’acquisto della Groenlandia, un territorio di grande importanza strategica e ricco di risorse naturali come oro, argento, rame e uranio, oltre a potenziali riserve petrolifere offshore. Tali risorse, finora poco sfruttate a causa della mancanza di infrastrutture e preoccupazioni ambientali, destano l’appetito di Trump, notoriamente scettico sui problemi del cambiamento climatico e favorevole a un’intensa attività estrattiva.
Un ulteriore elemento da considerare è la crescente influenza della Cina a livello globale. Con il suo rapido sviluppo industriale, la Cina sta cercando di estendere la sua presenza anche nell’Artico e in America Centrale. In Groenlandia, ha già tentato di proporre piani di investimento, mirando alle risorse minerarie dell’isola e alle nuove rotte commerciali rese accessibili dallo scioglimento dei ghiacci. Anche a Panama, il gigante asiatico potrebbe puntare a esercitare una maggiore influenza, data la sua posizione centrale e cruciale per il commercio internazionale.
In conclusione, le mosse di Trump nei confronti della Groenlandia e di Panama riflettono una precisa strategia geopolitica, piuttosto che semplici manovre di propaganda elettorale.