Il recente dibattito politico in Europa riguarda la richiesta di Donald Trump e dell’Ucraina di aumentare significativamente il bilancio delle difese europee, portandolo al 5% del prodotto interno lordo (PIL). Questa richiesta viene presentata come un passo necessario in vista di un possibile nuovo attacco da parte della Russia, guidata da Vladimir Putin. Secondo forse non confermate, Trump intende presentare formalmente questa proposta durante il prossimo summit della NATO previsto per giugno all’Aia. In cambio di un aumento del loro impegno finanziario per la sicurezza del continente, alcuni stati membri dell’Unione Europea avrebbero ricevuto rassicurazioni sulla continuità degli aiuti militari all’Ucraina da parte degli Stati Uniti.

Il cancelliere tedesco uscente, Olaf Scholz, ha espresso ottimismo sul fatto che Europa e Stati Uniti continueranno a sostenere l’Ucraina. Da parte sua, Trump ha fatto trapelare l’intenzione di continuare a fornire armi a Kiev, pur cercando un rapido accordo di cessate il fuoco con la Russia. Questo approccio, che mira a rafforzare la posizione negoziale dell’Ucraina, evita che la situazione di Kiev degeneri in una nuova Kabul, evocando il ritiro caotico degli Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021.

La richiesta di una spesa del 5% del PIL potrebbe essere una strategia negoziale di Trump, che potrebbe accontentarsi di un incremento al 3,5%, considerato plausibile da molti analisti. Gli Stati Uniti, infatti, stanno avvicinandosi al 3,38% di spesa militare rispetto al loro PIL, secondo le stime ufficiali della NATO per il 2024. Alcuni Stati membri, come Polonia ed Estonia, hanno già superato questa soglia. Questi paesi, situati geograficamente vicini alla Russia, hanno incrementato il loro impegno per la difesa in risposta alla minaccia russa.

Finlandia e Svezia, i due più recenti ingressi nell’Alleanza, hanno superato il 2% di spesa per la difesa, una soglia concordata dalla NATO sotto la presidenza Obama nel 2012. Pur avendo una tradizione di neutralità, questi paesi hanno scelto un “pacifismo armato” per scoraggiare eventuali aggressioni. Anche Regno Unito e Francia, entrambe potenze nucleari, rispettano l’obiettivo del 2% di spesa per la difesa stabilito nel 2012.

L’Italia, tuttavia, si trova in una posizione difficile. Con una spesa pari all’1,49% del PIL per la difesa, è tra i paesi che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 2%, condividendo il primato negativo con Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Spagna e Canada. Per l’Italia, arrivare al 3,5% significherebbe più che raddoppiare le spese attuali, un cambiamento per il quale non vi sono segnali di preparazione né da parte del governo Meloni né dell’opinione pubblica.

Il dibattito sulle spese per la difesa è complesso, coinvolgendo considerazioni economiche, politiche ed etiche. Mentre alcuni sottolineano l’importanza di investire nella sicurezza per garantirsi un deterrente contro le aggressioni esterne e stimolare innovazione e lavoro attraverso l’industria della difesa, altri restano fedeli al pacifismo, lasciando aperta la domanda su come frenare le minacce esterne senza ricorrere alle armi.

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