Oscar Wilde diceva che “è il diario che ognuno di noi porta sempre con sé”. Senza memoria non sapremmo chi siamo e, se non sappiamo chi siamo, non possiamo esistere davvero.

La memoria è ciò che ci racconta da dove veniamo, chi abbiamo conosciuto, cosa abbiamo vissuto. Ci svela cosa ci ha ferito e cosa ci ha reso migliori. Anche se può sembrare un ossimoro, il senso del futuro si radica nel passato: è attraverso ciò che abbiamo vissuto che possiamo proiettarci verso ciò che sarà.

Ma cosa intendiamo davvero con “memoria”? Senza rendercene conto, usiamo questa parola per indicare due concetti distinti: da un lato, la memoria come contenitore di informazioni; dall’altro, la memoria come funzione, ovvero l’atto stesso di memorizzare.

Quando diciamo di avere “una buona memoria”, cosa stiamo affermando? Che abbiamo un contenitore ampio e ben organizzato o che siamo bravi a fissare gli eventi e recuperarli all’occorrenza? Qualcuno ha detto che essere colti non significa ricordare tutto, ma sapere dove trovare le informazioni. Allo stesso modo, una buona memoria non si limita a immagazzinare gli eventi, ma li conserva in modo che possano essere richiamati e utilizzati consapevolmente.

Noi interiorizziamo tutto ciò che viviamo, ma spesso ne siamo solo parzialmente consapevoli. Se ci venisse chiesto di raccontare una giornata, descriveremmo i momenti principali: quando ci siamo svegliati, chi abbiamo incontrato, cosa abbiamo fatto. Eppure, in quella giornata, abbiamo memorizzato molto di più: luci, colori, emozioni, odori. Sono dettagli che non riusciamo a recuperare consciamente, ma che restano dentro di noi.

Ogni giorno siamo bombardati da milioni di informazioni. Per gestirle, il nostro cervello utilizza delle scorciatoie, chiamate euristiche, che velocizzano l’elaborazione dei dati. Cataloghiamo persone e situazioni in base a schemi preesistenti: un uomo con occhiali e barba ci ricorda un padre di famiglia, mentre un ragazzo tatuato potrebbe evocare l’immagine di un tifoso. Questi schemi non sono neutri; dipendono dai nostri pregiudizi e dalle esperienze passate.

Ad esempio, se nutriamo un pregiudizio negativo verso i “colletti bianchi”, potremmo inquadrare ogni giovane professionista elegante come arrogante o insensibile. Questi filtri influenzano come percepiamo il mondo, spesso portandoci a vedere ciò che conferma le nostre aspettative e ignorando ciò che le contraddice. È così che funziona anche il razzismo: se pensiamo che un gruppo etnico sia problematico, anche quando incontriamo persone che smentiscono quel pregiudizio, tendiamo a considerarle “eccezioni”.

Questi schemi, tuttavia, non sono sempre negativi: ci aiutano a risparmiare tempo e possono persino salvarci la vita. Se una strada buia ci ha messo in pericolo in passato, eviteremo di percorrerla di nuovo. Il punto non è eliminarli, ma esserne consapevoli. Sapere che ciò che percepiamo è filtrato dalla nostra memoria ci rende più lucidi e aperti.

La memoria, però, è molto più complessa di così. In neuropsicologia si distingue tra memoria dichiarativa e procedurale. La memoria dichiarativa comprende ciò che possiamo raccontare: ricordi, storie, aneddoti. La memoria procedurale riguarda ciò che sappiamo fare senza riuscire a spiegarlo. Provate, ad esempio, a descrivere a parole come accendete la macchina: vi accorgerete che mimare i gesti vi aiuta più delle parole.

Esiste anche una distinzione tra memoria quantitativa e qualitativa. La memoria quantitativa si riferisce al tempo per cui tratteniamo le informazioni: la memoria a brevissimo termine (o working memory), che dura pochi secondi; quella a breve termine, che ci permette di ricordare qualcosa per pochi minuti; e quella a lungo termine, potenzialmente illimitata, dove i ricordi possono restare per tutta la vita. La memoria qualitativa, invece, si divide in vari tipi: visiva, uditiva, semantica, autobiografica, episodica, e così via.

Le evidenze scientifiche ci mostrano quanto sia diversificata la memoria. Esistono persone che ricordano perfettamente le immagini ma non le posizioni spaziali, o che hanno una memoria a breve termine eccellente ma non riescono a conservare ricordi a lungo termine.

Un caso emblematico è quello di H.M., la cui storia ha ispirato film come Memento. Dopo un intervento chirurgico fallito, H.M. ha perso la capacità di formare nuovi ricordi: fino alla sua morte, a 82 anni, la sua mente era rimasta ferma ai 27 anni, l’età in cui subì l’operazione. Ogni giorno era per lui come il primo, senza alcuna connessione con ciò che aveva vissuto il giorno prima.

La vicenda di H.M. ci insegna quanto la memoria sia fondamentale. Senza di essa, non possiamo dare un senso alla nostra vita. I ricordi non sono solo il passato: sono la chiave per il nostro presente e la nostra proiezione verso il futuro.

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