La recensione della miniserie in due puntate “Leopardi-Il poeta dell’infinito”, diretta da Sergio Rubini, presenta diverse difficoltà. Scritta da Carla Cavalluzzi, Angelo Pasquini e Rubini stesso, e coprodotta da Rai Fiction insieme ad altri, tra cui Beppe Caschetto, è stata trasmessa su Rai1. L’opera sembra oscillare tra un “Leopardi for dummies” e una sorta di parodia non voluta, mancandone però il coraggio di esplicitarsi come tale. L’idea di un David Copperfield trasferito in un contesto recanatese, con personaggi come Pietro Giordani che paiono vestire i panni di improbabili figure, sorge spontanea durante la visione.

Il protagonista, Giacomo Leopardi, viene rappresentato secondo i classici stereotipi: la rigida figura del conte Monaldo, il pessimismo inerente, la solitudine e le fragili condizioni fisiche (anche se curiosamente, la gobba è stata omessa). Tuttavia, si avverte una profonda assenza: mancano recitazione convincente, tensione narrativa e un’interpretazione che vada oltre la mera superficie dei fatti. Leopoldi appare più come un intellettuale esprimente un’opinione risentita sulle fanciulle di Recanati, piuttosto che il poeta sublime celebratore di Silvia. Questo paradosso traccia i contorni della fiction.

A tratti, affiora la paura di una degenerazione simile ai monologhi comici di Enrico Brignano, con dialoghi surreali e poco coerenti. L’intenzione di Rubini, di tramutare il poeta in una figura “pop”, più variopinta e seducente rispetto all’immagine tradizionale, si scontra con un rischio elevato. Senza un’idea di fondo realmente forte e senza interpreti capaci di sostenerla, la caricatura è dietro l’angolo, come si evince dalla rappresentazione del legame con Fanny Targioni Tozzetti, dipinta qui come fulcro dell’esistenza di Leopardi.

Questo tentativo di modernizzare e rendere accattivante una figura complessa è un atto audace, ma che necessita di basi solide per riuscire a mantenere un equilibrio tra il rispetto dell’eredità culturale e la necessità di attrarre un pubblico moderno. Senza tali basi, l’effetto finale rischia di restare deludente.

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