La liberazione di Cecilia Sala dall’influente prigione di Evin a Teheran, avvenuta prima del previsto grazie a trattative internazionali, non può essere separata dall’arresto di Mohammad Abedini-Najafabani, un ingegnere iraniano di 38 anni catturato il 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa. Quest’ultimo, sospettato di associazione per delinquere e terrorismo dai servizi statunitensi, rappresenta una pedina cruciale negli eventi, nonostante le ripetute smentite da parte delle autorità iraniane e italiane.

Il destino dell’ingegnere, soprannominato «l’uomo dei droni», è legato alle decisioni della corte d’appello di Milano, le cui deliberazioni sono previste per il 15 gennaio. L’Italia dovrà decidere se concedere ad Abedini gli arresti domiciliari nell’abitazione trovata dal suo legale o respingere la richiesta, potenzialmente aprendo la strada all’intervento del Ministro della Giustizia per una sua immediata liberazione. Tale decisione assume avuto sullo sfondo il rilascio della giornalista, che è stato visto da alcuni come un compromesso tra Italia e Iran.

In questa complessa trattativa, il ruolo degli Stati Uniti non è marginale. Washington, infatti, con la sua richiesta di estradizione per Abedini, ha alimentato le tensioni tra Roma e Teheran e ha reso più spinosa la risoluzione del caso Cecilia Sala. Importante anche nei dialoghi internazionali è la transizione politica negli USA, dal governo di Joe Biden a quello di Donald Trump, una circostanza che il primo ministro Giorgia Meloni ha affrontato nel suo recente incontro a Washington e che riaffronterà durante l’attesa visita di Biden a Roma.

Infine, il rilascio di Sala, che dopo tre settimane di detenzione è tornata in Italia, è stato accolto con gioia e sollievo dai suoi familiari e dal suo compagno. Mentre gli incontri diplomatici influenzeranno il futuro del sospettato iraniano, per Cecilia Sala e i suoi cari è il momento di riabbracciare la normalità e lasciarsi alle spalle l’esperienza traumatica vissuta a Teheran.

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