Nella corsa per la guida del Comitato Nazionale Democratico (DNC), i candidati hanno individuato un nemico comune: i consulenti di Washington D.C. Durante il primo forum ufficialmente riconosciuto dal DNC nel poco pubblicizzato percorso verso la presidenza, i candidati hanno espresso la loro frustrazione nei confronti degli “insider di Washington”. Il senatore dello stato di New York, James Skoufis, ha promesso di “mandarli via”. Ken Martin, presidente del Partito Democratico-Contadino-Laburista del Minnesota, ha garantito che i “consulenti di D.C.” spariranno con la sua elezione. A sua volta, Ben Wikler, presidente del Partito Democratico del Wisconsin, ha promesso di entrare nel 2025 “senza impegni verso chiunque sia già stato in uno staff di campagna elettorale”.
Questo atteggiamento riflette la situazione attuale di un partito che ha speso circa 1,5 miliardi di dollari nei mesi finali della campagna, per poi essere sconfitto da Donald Trump. Mentre il partito è ancora alla ricerca di risposte per le dure sconfitte del 2024, i consulenti sono diventati il bersaglio, mentre i candidati al DNC evitano in gran parte di confrontarsi apertamente tra di loro. È opinione comune che il partito debba ridefinire la sua identità legandola più strettamente alla classe lavoratrice e impegnarsi in una struttura di campagna permanente a livello nazionale. Gli attacchi tra rivali, quando esistono, rimangono perlopiù velati.
Il forum di sabato è stato il primo di quattro incontri in programma per gennaio, in previsione delle elezioni del primo febbraio per la presidenza del DNC, una delle prime decisioni rilevanti che i Democratici prenderanno per ridefinire il loro partito nella seconda era Trump.
La discussione ha messo in evidenza diversi punti chiave. Tra questi, la decisione di molti candidati di trasferirsi a Washington nel caso di vittoria, una questione dibattuta per settimane dai membri del DNC, scontenti della scelta dell’attuale Presidente Jaime Harrison di restare in South Carolina durante il suo mandato. Tra i candidati, solo Wikler, con una giovane famiglia nel Wisconsin, non si è impegnato a trasferirsi completamente, preferendo una presenza regolare nella capitale pur conservando un legame con il suo stato d’origine.
Un altro aspetto rilevante è la scarsa diversità del gruppo di candidati, principalmente composto da uomini bianchi. Solo Marianne Williamson e Quintessa Hathaway si distinguono per genere e diversità. Questo disequilibrio è motivo di critica da parte di alcuni Democratici, che ritengono non rifletta la varietà del partito stesso.
Interessante è il ritorno di Williamson, nota autrice di self-help, che apporta una visione spirituale alla corsa. Sebbene le sue possibilità di vittoria siano remote, il suo approccio differente contrasta con la tradizionale dinamica politica, sottolineando l’incapacità del DNC di promuovere una primaria coraggiosa l’anno precedente.
Sul fronte economico, i candidati hanno riconosciuto le carenze nel messaggio economico del partito, individuato come una delle cause principali delle sconfitte elettorali. Tuttavia, non sono emerse molte soluzioni concrete per riavvicinarsi agli elettori. Le proposte spaziano dal ribadire l’impegno per la sicurezza economica delle persone, all’organizzazione continua nelle comunità chiave, fino a diversificare i canali di comunicazione.
Infine, per un partito che ha passato gran parte dell’ultimo decennio a correre contro Trump, è sorprendente la relativa assenza del suo nome dai discorsi di candidatura, riflettendo forse la necessità di ridefinire la resistenza democratica in un panorama politico che continua a evolversi.