Il film diretto da Roberto Andò, “L’abbaglio”, offre un’interpretazione disincantata e perspicace della spedizione dei Mille, un evento cruciale della storia italiana apparentemente già ben noto al pubblico. Tuttavia, non è una semplice narrazione storica né una commedia farsesca, nonostante la presenza dei comici Ficarra e Picone, né una mera ricostruzione del diversivo bellico che spianò la strada a Garibaldi per entrare a Palermo il 27 maggio 1860.

La pellicola, ben lontana dall’epopea nazionalista ricca di eroismo, racconta invece un contesto meno glorioso: camicie rosse costituite da storpi, impostori e bambini, mentre il dialogo tra i vari dialetti non è simbolo della futura unità nazionale, ma piuttosto un ostacolo alla comprensione reciproca, come evidenziato dalla fatica di Domenico Tricò (interpretato da Salvatore Ficarra) nel istruire i compagni sulla fabbricazione dei proiettili.

Il disincanto emerge fin dall’inizio, con l’incontro dello stravagante generale Vincenzo Giordano Orsini, un ruolo interpretato magistralmente da Toni Servillo, che partecipa in terra siciliana all’arruolamento delle truppe, un processo già segnato da ironia e antiretorica. All’arrivo a Marsala, sotto il fuoco nemico, molti volontari arruolati per opportunismo anziché convinzione desertano, tra cui Tricò e Rosario Spitale (Valentino Picone), quest’ultimo costretto a fuggire dal Veneto per motivi legati alla sua fama di baro.

Orsini, accompagnato dal giovane tenente Ragusìn (Leonardo Maltese), mantiene viva la fiamma dei valori patriottici, mentre il percorso dei due siciliani li porta, attraverso una serie di avventure, in un monastero dove una giovane novizia, Assuntina (Giulia Andò), attrae la loro attenzione. Le loro strade, seppur divergenti, inevitabilmente si ricongiungeranno, generando ribaltamenti sorprendenti nelle aspettative di Orsini e del pubblico.

La sceneggiatura, firmata da Andò, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, si prefigge di destrutturare il linguaggio eroico tradizionale, sottolineando da un lato l’impegno silenzioso del popolo siciliano più martoriato e dall’altro la generosità inaspettata di quei “eroi quotidiani” capaci di sorprendere con atti di altruismo.

Il protagonista Orsini non rappresenta solo l’ideale del servizio alla libertà, ma agisce anche come coscienza critica, mettendo in evidenza i lati oscuri e i compromessi della Sicilia post-unitaria. L’intento del regista siciliano è chiaro nel denunciare le ingiustizie e le complessità storiche dell’isola, affrontando tematiche come la corruzione dell’aristocrazia e i legami tra forze mafiose e proprietari terrieri.

Questo racconto cinematografico si configura pertanto come una riflessione profonda e complessa sulla Storia e la natura umana, che punta a scuotere le coscienze del pubblico, mettendo in evidenza come spesso dietro le apparenze di eroismo si celino realtà molto più ambigue e intimamente umane.

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