Nel 2025, il bonus per le ristrutturazioni edilizie al 50% potrà essere richiesto solamente da chi rispetta specifici criteri. Innanzitutto, occorre essere titolari di un diritto reale sull’immobile – come proprietà, nuda proprietà, usufrutto o diritto di abitazione – ed è fondamentale che la residenza coincida con tale immobile. Inoltre, il reddito complessivo annuo non deve superare i 75.000 euro. I lavori di ristrutturazione devono essere realizzati esclusivamente nell’unità immobiliare e non riguardare le parti comuni di un edificio.
Se una persona non soddisfa simultaneamente questi requisiti, rischia una riduzione dello sgravio fiscale al 36% o, in alcuni casi, un rimborso fiscale ridotto o inesistente. Da sottolineare è l’importanza dell’interpretazione delle normative, con l’Agenzia delle Entrate che sarà chiamata a fornire dei chiarimenti, potenzialmente sotto forma di circolare interpretativa.
Per chi possiede un reddito superiore a 75.000 euro, la Legge di Bilancio 2025 prevede una diminuzione delle agevolazioni fiscali. Ad esempio, coloro che guadagnano tra 75.001 e 100.000 euro avranno un limite di spesa detraibile di 14.000 euro. Per chi percepisce un reddito superiore a 100.000 euro, il limite scende a 8.000 euro. Sono escluse da questo conteggio le spese sanitarie, investimenti in start-up e Pmi innovative, interessi sui mutui e premi assicurativi stipulati entro il 2024.
Il fattore figli a carico incide sulla cifra detraibile: senza figli, i tetti sono ridotti del 50%; con un figlio scendono del 30%; con due figli del 15%; e restano invariati se i figli sono tre o più. Ad esempio, un contribuente con un reddito di 76.000 euro e senza figli che effettua ristrutturazioni per 80.000 euro, otterrà una detrazione minore di quanto previsto in precedenza a causa dell’eccesso rispetto al tetto massimo di spesa detraibile.
Le norme suscitano anche incertezze sulle ristrutturazioni delle parti comuni degli edifici. Non è chiaro se le pertinenze come box garage siano incluse nel 50% di sgravio, o se rientrino al 36%. Un simile discorso riguarda i lavori nei condomini, portando i gestori a rinviare decisioni sulle spese in attesa di chiarimenti dalle autorità fiscali.
Tali cambiamenti potrebbero condurre a un calo delle ristrutturazioni, riducendo le entrate fiscali previste, e configurare così un autogol per le finanze pubbliche. Pesano inoltre le nuove normative che potrebbero limitare l’approvazione di lavori non essenziali nelle parti comuni. L’ambiguità legislativa potrebbe quindi avere un impatto negativo sul settore edilizio e sulla capacità di recupero del patrimonio immobiliare.