L’apertura di stagione al Regio di Parma ha svelato una sorpresa inattesa: un baritono mongolo, Ariunbaatar Ganbaatar, che ha fatto il suo debutto in Italia senza conoscere né l’italiano né l’inglese. È stato definito la rivelazione dello spettacolo, che si è trasformato in una sorta di sacra rappresentazione in versione pop sotto la direzione artistica di Alessio Vlad. Alla guida dell’orchestra, il talentuoso Michele Gamba.
La protagonista della serata è stata l’opera “Giovanna d’Arco”, con la voce di Nino Machaidze. La storia di Giovanna, una figura simbolica e ormai leggendaria, si svolge in un’epoca di conflitti catastrofici, come la Guerra dei Cent’anni, un dramma che riecheggia le fiamme del contemporaneo Medioriente. Accusata di eresia, la giovane è una visionaria in continua battaglia con se stessa, raccontata in molteplici trasposizioni cinematografiche.
Emma Dante, al suo esordio in questo iconico teatro verdiano, ha interpretato la regia attraverso uno stile teatrale essenziale, intensamente fisico e caratterizzato dall’uso dei corpi sulla scena. Nella sua visione, Giovanna non è soltanto una guerriera in armatura; è una giovane vergine ignorante del mondo esterno, posseduta da visioni. Quando si arreda di spada ed elmo, assume la fisionomia dell’eroina.
Tra i temi centrali dell’opera c’è il complesso rapporto padre-figlia, un elemento ricorrente per Giuseppe Verdi. Il padre di Giovanna la denuncia come strega, ma lei, dopo aver sopportato le sue angherie, lo perdona e compie un significativo atto femminista abbandonando la casa paterna.
La scenografia è stata particolarmente suggestiva, con croci piantate su un pendio a simboleggiare la morte e la guerra, e un albero sulle cui fronde Giovanna ha le sue visioni: donne vestite di lingue di fuoco, sirene ardenti, soldati che si trasformano in spiriti benevoli e fiori che nascono dalle ferite.
L’ambientazione è impreziosita dall’utilizzo di un destriero manovrato dall’interno, su cui Giovanna avanza verso la battaglia, vestita di rosso e corazzata. La relazione amorosa con Carlo VII, re di Francia, è un altro elemento narrativo: lui è innamorato di lei, ma la sua passione per la patria l’allontana da relazioni personali, un aspetto moderno che ancora risuona con forza.
A questo intreccio drammatico si sovrappone il desiderio della regista di confrontarsi con il tema complesso del terreno e dell’ultraterreno. Il teatro, sostiene, resta il suo punto di riferimento più vicino, un impegno che la porta a celebrare il suo debito con la città di Palermo, nonostante le difficoltà incontrate nel tessuto istituzionale.
Infine, lo spettacolo si conclude e, dietro le quinte, la conversazione torna su Verdi mentre le celebrazioni proseguono con degustazioni di specialità locali, creando un’atmosfera di autentica ospitalità e passione culturale.