Nel panorama politico italiano, si staglia la vicenda riguardante Giorgia Meloni, che di recente ha affermato sui social media di essere sotto inchiesta in seguito alla liberazione di Njeim Osama Almasri. Quest’ultimo è un generale libico, capo della polizia giudiziaria della Libia, con accuse pendenti presso la Corte Penale Internazionale per gravi crimini quali torture, stupri e crimini di guerra.
Meloni, tuttavia, non ha realmente ricevuto un avviso di garanzia dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, sugli eventi legati ad Almasri. In effetti, è il tribunale dei ministri, e non le procure ordinarie, ad occuparsi di indagini relative a reati ascrivibili ai ministri nell’esercizio delle loro funzioni.
Le accuse rivolte a Meloni includono favoreggiamento nei confronti del generale libico e peculato, per l’uso di risorse statali, come il volo predisposto per il rientro in Libia di Almasri. Quest’ultimo era stato arrestato a Torino il 19 gennaio, provenendo dalla Germania, dopo aver speso del tempo anche in altre nazioni europee. Il suo arresto era stato ordinato dalla Corte dell’Aja solo un giorno prima. Eppure, il 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma non ha convalidato l’arresto per motivi tecnici, poiché il ministro della Giustizia non era stato preventivamente avvisato. Nonostante ciò, la procura di Roma aveva informato il ministro Nordio il 20 gennaio, che tuttavia non è intervenuto. Almasri è stato quindi rilasciato e rimpatriato il medesimo giorno, tramite un volo dei servizi segreti italiani.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha spiegato che il governo non ha agito per ragioni politiche. Vista la pericolosità sociale di Almasri, come emerso dal mandato della Corte Penale Internazionale, è stato emesso un provvedimento di espulsione per ragioni di sicurezza nazionale, notificato al momento del rilascio, che ha portato alla partenza di Almasri dall’Italia la sera del 21 gennaio.
L’avvocato Luigi Li Gotti ha presentato una denuncia contro Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, criticando quello che vede come un tentativo di ingannare i cittadini italiani. Tuttavia, l’indagine è in capo al tribunale dei ministri e non alla procura di Roma, che ha trasmesso l’intera documentazione al suddetto tribunale, in conformità con la legge. Tale organo dovrà esaminare i documenti, inclusi articoli di giornali e l’esposto di Li Gotti, per determinare ulteriori sviluppi.
In base alla ricezione degli atti, il tribunale dei ministri avrà 90 giorni per decidere se portare avanti l’indagine, archiviarla, o rimandare gli atti a un’altra autorità giudiziaria, se il reato dovesse essere percepito come compiuto al di fuori dell’ambito ministeriale. Se l’indagine dovesse proseguire, la procura necessiterebbe dell’autorizzazione del Parlamento, che può scegliere di negare il permesso per ulteriori indagini sui ministri in carica.