A Gerusalemme, durante un’intervista a Canale 14, Benjamin Netanyahu non riesce a nascondere la sua soddisfazione. Anche se ancora a Washington, il primo ministro sfoggia un ghigno mentre si riferisce al futuro delle trattative di pace e alla ricostruzione di Gaza, questioni che al momento restano prive di dettagli concreti. È l’ex premier Ehud Barak che critica il progetto come una mera “fantasia” di Trump, ideato per evitare di dover rispondere a domande scomode.
Netanyahu ha incaricato Israel Katz, il ministro della Difesa, di elaborare un piano che preveda la “partenza volontaria” dei palestinesi da Gaza, un’emergenza che si è protratta per anni. Katz ha il compito di stilare un piano che includa soluzioni per il trasferimento via terra, mare e cielo. L’embargo sulla Striscia è in atto da quando, diciotto anni fa, Hamas ha preso con la forza il controllo del territorio da Abu Mazen.
Nel frattempo, la situazione nel Mediterraneo resta tesa. Le navi militari continuano a limitare l’attività dei pescatori palestinesi lungo la costa. Il porto di Ashdod è stato teatro dell’arrivo di Antonio Tajani, il ministro degli Esteri italiano, che ha consegnato 15 camion di aiuti nell’ambito dell’operazione “Food for Gaza”. Tajani ha ribadito il sostegno italiano per una “soluzione a due Stati”.
L’ambizione di Netanyahu di riprendere la guerra è in gran parte sostenuta dalla prospettiva di vedere la popolazione di Gaza lasciare la regione. L’obbiettivo, nonostante la tregua in corso, è quello di diminuire la presenza di civili palestinesi, un’idea che Trump ha commentato sul suo social media, Truth. Trump desidera consegnare la Striscia agli Stati Uniti per trasformarla in un luoghi idilliaci, assicurando però che non saranno necessari soldati americani, grazie al recente disimpegno dalle missioni internazionali.
Parallelamente, le tensioni internazionali aumentano. A breve, Trump potrebbe incontrare Putin per discutere dell’Ucraina, mentre alla Casa Bianca si prepara a firmare un ordine esecutivo per sanzionare la Corte penale internazionale dell’Aia, accusata di prendere di mira ingiustamente Stati Uniti e Israele.
Dall’Egitto, il presidente Al Sisi ha espresso il suo dissenso al telefono con Emmanuel Macron, riguardo la violazione delle leggi internazionali che il trasferimento forzato della popolazione rappresenterebbe. Le Nazioni Unite temono che si tratti di un’operazione di “pulizia etnica”. L’intento di Trump di creare una “Riviera” al posto delle macerie sta mettendo in difficoltà i negoziati per una futura pace, rischiando di sconvolgere le relazioni tra Israele, l’Egitto e la Giordania, quest’ultima pressata ad accogliere i rifugiati di Gaza.