Oggi, lunedì 3 marzo, si è spenta all’età di 71 anni Eleonora Giorgi. La nota attrice lottava da tempo contro un tumore al pancreas. Negli ultimi mesi, aveva condiviso apertamente la sua difficile situazione, affermando: «Mi mantengono in vita non perché ci sia un futuro, ma perché tutto avvenga il più tardi possibile. Ogni giorno è un dono». Questa è la sua ultima intervista, rilasciata pochi giorni fa al Corriere.

La Giorgi si trovava in una clinica romana, affidata alle cure di due eccelsi oncologi, Paolo e Luca Marchetti. Con un tono inconfondibile e il solito spirito, l’attrice raccontava: «La mia origine austroungarica mi rende una soldatessa di me stessa». Dopo un episodio particolarmente doloroso, aveva dovuto essere ricoverata, trovandosi sola a casa in balia del dolore. Nonostante tutto, si dichiarava grata alla sanità pubblica, condividendo momenti con persone ordinarie che diventavano speciali.

Alla domanda se fosse arrabbiata per alcune voci infondate sul suo conto, rispondeva di no, poiché si sentiva circondata dall’affetto della famiglia e del pubblico. I suoi figli le stavano accanto durante interminabili cure, portandole conforto.

Condivideva apertamente la sua malattia, sottolineando che ogni giorno rappresentava per lei un dono prezioso. Affermava anche di ricevere grande forza dall’amore dei figli, un sostegno che non tutti i pazienti, secondo gli infermieri, hanno la fortuna di ricevere.

Riguardo al momento più difficile della sua giornata, indicava la notte, ma senza il timore della morte che la vita, invece, le aveva spesso instillato. Ricordava con affetto il suo primo amore, Alessandro Momo, e rifletteva sulle droghe che aveva conosciuto in passato.

Le giornate erano scandite da cicli di terapie estenuanti, interrotti solo da piacevoli ricordi, come la presenza del nipotino con dei palloni rossi a San Valentino. L’eleganza non veniva mai meno, nemmeno in pigiama, mentre vedeva il proprio corpo trasformarsi.

Eleonora parlava anche delle gioie famigliari, come il matrimonio del figlio Paolo, e dei ricordi legati alla sua carriera. Non si chiedeva “perché a me?”, convinta che bisognasse accogliere anche quel che si riteneva ingiusto.

Pur non essendo religiosa, aveva un profondo senso del divino, immaginando un aldilà popolato dalle persone amate. Concludeva guardando alla vita con un senso di magia, pur rinunciando alle battaglie inutili e alla ricerca dell’assoluzione.

Fino all’ultimo incaricava l’autoironia di alleggerire i momenti difficili, rifiutando l’etichetta di guerriera, sentendosi piuttosto un’arhivista nel caos. In fondo, ancora sperava in un miracolo, sempre con la capacità di sorridere alla vita, fino alla fine.

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