Nata il 7 aprile 1915 a Philadelphia, Billie Holiday è considerata una delle voci più straordinarie del mondo del jazz e del blues. Sua madre, Sarah Sadie Fagan, era una ballerina di fila che rimase incinta dopo un relazione passeggera con Clarence Holiday, un giovanissimo suonatore di banjo. Poco dopo la nascita di Billie, il padre abbandonò la famiglia per continuare a suonare con orchestre itineranti attraversando gli Stati Uniti. I primi anni, la piccola rimase a Baltimora, ma presto si separò anche dalla madre, che si trasferì a New York alla ricerca di lavoro come domestica, affidando Billie ai propri genitori e a una parente.
La giovinezza di Billie Holiday fu parecchio complessa e caotica. Sentì molto la mancanza della madre e lasciò gli studi a soli 11 anni. Nel 1926, fu vittima di un tentativo di violenza da parte di un vicino. In seguito alla denuncia, il tribunale la inviò in una casa d’accoglienza nella quale rimase per un anno. Dopo aver lasciato la struttura, si ricongiunse alla madre a New York, dove trovò impiego come donna delle pulizie in un bordello.
All’anagrafe conosciuta come Eleanora Fagan, la futura artista adottò il nome d’arte Billie Holiday, rendendo omaggio a Billie Dove, una delle sue attrici preferite, e usando il cognome del padre. Fece i primi passi nella carriera esibendosi nei nightclub di Harlem fin da giovanissima. Nel 1933, il produttore John Hammond notò il suo talento e le fece incidere i primi brani. Verso la fine degli anni ’30, il successo giunse in pieno. Nel 1939, due anni dopo essersi riconciliata con il padre, scomparso poco prima, Holiday interpretò «Strange Fruit», un brano destinato a diventare un simbolo della lotta contro il razzismo. La canzone tratta il tema degli afroamericani linciati durante il periodo della segregazione razziale.
Nonostante il significato potente del brano, «Strange Fruit» la portò nel mirino del Federal Bureau of Narcotics. Il direttore dell’agenzia, Harry Anslinger, le ingiunse di non cantarlo più. Ma Holiday sfidò l’ordine e per questo fu per lungo tempo sotto osservazione, fino a essere arrestata per acquisto di stupefacenti. Questa storia ha ispirato il film del 2021 «Gli Stati Uniti contro Billie Holiday» di Lee Daniels.
Nel 1954, l’artista intraprese un tour in Europa e si esibì in Italia nel 1958 al Teatro Smeraldo di Milano. L’accoglienza del pubblico fu però inizialmente ostile e dopo il quinto brano fu richiamata in camerino. In risposta, gli appassionati del jazz milanese organizzarono un concerto al Teatro Gerolamo, dove finalmente ricevette un’accoglienza calorosa.
L’esistenza personale di Lady Day fu segnata da relazioni tumultuose. Si sposò tre volte: inizialmente, nel 1941, con il trombonista Jimmy Monroe, con cui rimase anche mentre intratteneva una relazione con il trombettista Joe Guy. Dopo il divorziò da Monroe nel 1947, si unì in matrimonio con Guy nel 1951, separandosi nel 1957. Successivamente sposò Louis McKay, un uomo a lei violento come molti altri nella sua vita. Sebbene fossero separati al momento della sua morte, erano legalmente sposati e McKay ereditò i proventi delle sue opere.
A partire dai primi anni ’40, Holiday iniziò a fare uso di alcol e droghe, subendo arresti come quello del 1947 per possesso di stupefacenti. All’inizio del 1959, ricevette la diagnosi di cirrosi epatica. Malgrado il consiglio medico di smettere di bere, riprese a farlo poco dopo. Il 31 maggio di quell’anno, fu soccorsa incosciente nel suo appartamento di New York e trasportata in ospedale, dove la polizia trovò droga, portandola nuovamente all’arresto. Le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente nei mesi successivi e, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, il 17 luglio 1959, Billie Holiday morì a soli 44 anni per un edema polmonare e insufficienza cardiaca.