La questione legale che ha coinvolto due illustri professori di odontoiatria ha destato grande attenzione nel mondo accademico e professionale italiano. Roberto Weinstein, ormai in pensione dal 2017, e Luca Francetti, riconosciuti come figure di spicco nel settore dell’odontoiatria, sono stati al centro di un’azione legale intrapresa dalla Corte dei Conti. La controversa decisione riguarda l’attività svolta privatamente dai due all’interno del loro studio dentistico associato, noto come “Weinstein-Francetti”, che secondo l’accusa, era “incompatibile con il regime di lavoro a tempo pieno” previsto dai loro contratti con l’università.

Weinstein e Francetti, entrambi con una carriera prestigiosa presso l’Università Statale di Milano, erano rispettivamente direttore del servizio di odontostomatologia e direttore scientifico presso l’Istituto ortopedico Galeazzi, e direttore della clinica odontoiatrica dello stesso istituto. Nonostante il loro contributo accademico e professionale, la Corte dei Conti ha stabilito che entrambi debbano risarcire l’ateneo con una somma di 2,3 milioni di euro a testa. Questo sviluppo segue una lunga indagine avviata nel 2020, basata sulle conclusioni della Guardia di Finanza che riguardavano il periodo dal 2009 al 2017.

L’accusa iniziale della Corte aveva richiesto una cifra molto più alta, pari a 7 milioni di euro per ciascuno, importo successivamente ridimensionato dai giudici. La difesa dei professori ha tentato di differenziare la loro situazione, insistendo sul fatto che non si trattava di incarichi non autorizzati, bensì di “attività incompatibile”, un argomento che i giudici hanno respinto in modo deciso. Secondo la sentenza, una violazione tanto grave come quella che li riguarda consente all’università di richiedere la restituzione dei guadagni percepiti.

Il quadro normativo di riferimento stabilisce che i medici assunti in una struttura pubblica debbano avere un rapporto di lavoro esclusivo con l’ente. Tuttavia, possono esercitare la libera professione intramoenia o al di fuori dell’ospedale solo se non sono legati da un contratto esclusivo. Qualora il personale decidesse di impegnarsi in attività esterne, queste devono essere non solo autorizzate, ma anche non regolari e continuative. La vicenda dei due professori dimostra le conseguenze delle violazioni in questo ambito, e come un semplice richiamo disciplinare non possa affrontare violazioni di tale entità.

Infine, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di condanna, che chiude dunque una pagina complessa della carriera di entrambi. L’università da un lato e il mondo accademico dall’altro restano in attesa di vedere quali effetti questa decisione potrà avere nel settore.

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