Alla vigilia del 1960, l’Italia si trova ad affrontare uno dei disastri ferroviari più gravi della sua storia, il più tragico nel territorio lombardo. Il 5 gennaio, il diretto 341 da Sondrio, soprannominato dai pendolari “il treno operaio”, che ogni giorno trasporta centinaia di persone verso le fabbriche e gli uffici milanesi, incontra il suo destino. Alle 8.05, poco prima di raggiungere Milano e dopo aver attraversato la stazione di Monza, la locomotiva e i primi vagoni del treno precipitano da un cavalcavia alto otto metri, sfondando le mura di un capannone industriale.

Il bilancio è drammatico: 17 morti e oltre 100 feriti scatenano un’ondata di dolore collettivo che si somma alla recente scomparsa di figure iconiche come Fausto Coppi e Albert Camus. Così esprime il suo sconcerto il giornalista e scrittore Dino Buzzati sulle pagine del Corriere, chiedendosi che tipo di anno sarà il nuovo decennio, appena iniziato con tanto dolore.

La scena dell’incidente, immersa nella nebbia, è spettrale. Soccorritori, medici e volontari si affannano per estrarre i corpi dalle lamiere accartocciate mentre il profumo di gas e vapore aleggia nell’aria. L’immagine desolante dei finestrini infranti e delle carrozze divenute trappola mortale resterà impres¬a nella memoria collettiva.

Tra le vittime, storie di ordinaria quotidianità spezzate: accanto allo studente Elio Sangiorgio, proiettato fuori dal treno col libro ancora in mano, giace il parroco Don Giuseppe Caffulli, diretto a dare l’ultimo saluto alla madre morente. Nell’impatto perde la vita anche una giovane vedova, Alessandra Mazzola, che quel giorno avrebbe dovuto iniziare il suo nuovo impiego per garantire un futuro ai suoi figli.

Le indagini, condotte in un clima di dolore e emergenza, porteranno presto a identificare l’errore umano come causa principale della tragedia: un’eccessiva velocità su un tratto che avrebbe richiesto una condotta ben più prudente. Il macchinista Pierino Vacchini, trovato senza vita al suo posto, rimane uno degli aspetti più drammatici, lasciando sospesa la domanda sui suoi ultimi, disperati istanti di vita.

Mentre l’ospedale di Monza si trasforma in un’infermeria da campo per accogliere feriti e superstiti, l’Italia si stringe attorno ai suoi morti, celebra funerali di massa e piange il dolore di famiglie distrutte. Figure istituzionali e religiose offrono condoglianze e preghiere, mentre la macchina del soccorso mostra solidarietà e umanità senza pari. Tuttavia, il tragico evento resta nei cuori e nelle menti come monito di fragilità e di necessaria attenzione verso la sicurezza pubblica.

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