Nel cuore della cultura giuridica svizzera, una vicenda intricata ha sconvolto il Consiglio della Magistratura ticinese. Si tratta della destituzione immediata dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti del Tribunale penale cantonale, accusati di aver gravemente trasgredito ai loro doveri denunciando Mauro Ermani, presidente del medesimo tribunale, di pornografia. Il caso ha suscitato scalpore, partendo dall’invio di un’immagine controversa da parte di Ermani alla segretaria – un’immagine che ritraeva una donna in un contesto erotico al museo del sesso di Amsterdam, accompagnata dal commento “ufficio penale”. Questo episodio è stato solo l’inizio di una serie di querele e segnalazioni che hanno coinvolto vari magistrati nei corridoi del potere giudiziario ticinese.
Il Consiglio della Magistratura, agendo “all’unanimità”, ha giudicato inaccettabile e incompatibile con il loro ruolo la falsa accusa sollevata dai giudici Quadri e Chiocchetti, essendo già stato determinato che il reato di pornografia non sussisteva. Questa conclusione era stata infatti anticipata dal procuratore pubblico straordinario Franco Passini, incaricato dal governo per approfondire la questione.
Per comprendere appieno questa complicata vicenda, bisogna tornare indietro ad aprile. Sono stati i giudici Quadri e Chiocchetti a segnalare inizialmente Ermani e altri colleghi per un presunto caso di mobbing alla Commissione amministrativa del Tribunale d’appello. Tale segnalazione si è trasformata in uno scontro aperto, con controdeduzioni espressamente dirette a loro verso il Consiglio della Magistratura, culminate in ulteriori querele per diffamazione e pornografia.
Il Consiglio della Magistratura aveva aperto un procedimento disciplinare contro il presidente Ermani, ma le conseguenze giuridiche si sono rivelate slegate dall’ambito penale, dimostrato dal “non luogo a procedere” dichiarato per le accuse sollevate. La severa decisione di estromettere Quadri e Chiocchetti è stata perciò una mossa inaspettata e ha suscitato forti reazioni dal loro legale, Marco Broggini, che ha denunciato il provvedimento come “clamorosamente arbitrario” e annunciato un ricorso contro quella che considera una risoluzione paradossalmente avversa.
Questo caso non rappresenta solo un conflitto interno alla magistratura ticinese, ma evidenzia anche le complesse dinamiche di potere e i limiti sottili tra condotta etica e personale all’interno delle istituzioni giudiziarie.