Il tragico caso di Jordan Tinti, un giovane di Bernareggio di 26 anni, ha nuovamente sollevato questioni cruciali nel panorama giudiziario. Tinti, noto come il trapper Jordan Jeffrey Baby, è stato trovato impiccato nella sua cella presso il carcere di Pavia il 12 marzo 2024, mentre scontava una pena per rapina aggravata. Le circostanze relative alla sua morte e molti aspetti della sua detenzione sono al centro di un’inchiesta che non può più essere ignorata.
Prima del suo drammatico gesto, Tinti aveva denunciato uno stupro subito in carcere da parte del suo compagno di cella, un cinquantenne della provincia di Alessandria. Questo episodio di abuso sarebbe avvenuto nel gennaio 2023. Secondo quanto emerso, il giovane era stato stordito da un farmaco psicotropo, la quetiapina, e in stato di semincoscienza, sarebbe stato oggetto di atti sessuali senza consenso. Sebbene la Procura avesse inizialmente richiesto l’archiviazione del caso, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pavia, Luigi Riganti, ha ora rivalutato la situazione, permettendo di procedere con un’imputazione coatta.
Le difficoltà incontrate da Tinti durante la sua breve vita non erano nuove agli occhi del pubblico. Già noto alle cronache per una rapina commessa nell’estate del 2022 in compagnia del collega trapper romano Giancarlo Fagà, noto come Traffik, Tinti era spesso al centro dell’attenzione per episodi controversi anziché per la sua musica. Quella rapina, contraddistinta da un’aggressione a sfondo razziale, ha portato ad una condanna a quattro anni e mezzo di reclusione per entrambi i trapper. Traffik è poi stato condannato anche per maltrattamenti nei confronti di Tinti all’interno dello stesso istituto penitenziario pavese.
Nel disperato tentativo di emergere come artista, Tinti aveva riempito il suo corpo di tatuaggi elaborati, un’immagine che rifletteva una vita vissuta ai margini e la sua continua ricerca di identità e appartenenza. Le sue aspirazioni musicali, tuttavia, si sono infrante contro un sistema giudiziario e sociale che sembra non aver mai accolto i suoi appelli d’aiuto.
Dopo la tragedia, il padre, Roberto Tinti, si è fatto portavoce di un’urgenza distinta: rendere giustizia al figlio. Tramite l’avvocato Federico Edoardo Pisani, la famiglia Tinti spera ora in uno svolgimento che faccia luce non solo sul crimine subito da Jordan, ma anche sulle condizioni che hanno portato al suo suicidio.
Questo tragico evento ha acceso di nuovo il dibattito sull’adeguatezza dei sistemi di detenzione e sulle misure necessarie per proteggere i detenuti, specialmente i più vulnerabili. Jordan Tinti è un esempio tristemente emblematico di un giovane la cui vita è stata segnata da errori e difficoltà, ma anche dall’indifferenza istituzionale.