Un matrimonio naufragato sotto il peso di regole arbitrarie e soffocanti, imposte dal marito, ha trovato la sua conclusione grazie alla determinazione e al coraggio della moglie di far emergere la verità. Una serie di prescrizioni che, pur nella loro apparente banalità, hanno trasformato la vita di coppia in un terreno di sofferenza. Il marito, con un comportamento controllante, umiliante e aggressivo, ha portato la moglie a sopportare situazioni inaccettabili sia durante che dopo il legame matrimoniale, culminando in numerose denunce, un processo e una sentenza di condanna a tre anni di reclusione, poi convertiti in detenzione domiciliare.
L’accusa ha riguardato stalking, maltrattamenti – perfino in presenza delle figlie minori – danneggiamenti e accesso illecito alla corrispondenza elettronica dell’ex coniuge. Una vicenda narrata nella motivazione della sentenza dal giudice Milena Chiara Lombardo, e rappresentata legalmente dall’avvocato Isabella Ferretti per la parte civile, con la collega Federica Dolfi a sostenere una delle figlie. Ciò che emerge è un quadro di comportamenti oppressivi e persecutori, dove l’attenzione non dovrebbe concentrarsi unicamente sugli episodi di violenza fisica.
Le strane “regole” imposte includevano il divieto di consumare carne di cavallo al sangue, di bere vin brulè o mangiare zabaione durante l’inverno, bollati come abitudini “da vecchi”. Non era neppure permesso rimanere in pigiama la domenica mattina, simbolo di pigrizia, o sedersi sul divano a riposare mentre il marito, che rifiutava di acquistare una lavastoviglie, lavava i piatti.
Emergeva perfino la mania ossessiva per il modo in cui la donna tagliava il pane o sbucciava il salame, considerate azioni “non consone” e causa di spreco, con continue critiche anche sul suo aspetto fisico. Il budget familiare, seppur non esiguo, era rigidamente controllato dal marito, che decideva come spendere fino al singolo centesimo, rendendo impossibile anche il più piccolo extra come l’acquisto di un tavolino Ikea. Nonostante una situazione economica apparentemente solida, con risparmi di circa 50.000 euro accumulati grazie ai salari di entrambi, l’atteggiamento del marito minava ogni tentativo di autonomia economica della donna.
Una storia di sopraffazione e restrizioni che si è potuta concludere solo grazie alla volontà inflessibile della donna di denunciare e reclamare la propria libertà, trovando finalmente riconoscimento di fronte alla legge, con una sentenza emessa per tutte le ingiustizie subite.