potesse umiliare. Così, dopo la guerra, provai a vivere lì. Ma Israele non mi piacque. Eravamo accolti con diffidenza. Gli ebrei locali ci chiamavano ‘saponi’, perché credevano che fossimo stati trasformati in sapone dai nazisti. Mi sentii di nuovo un’estranea».

Così Edith Bruck ha vissuto molte esperienze, ha incontrato tante persone e si è confrontata con momenti di dolore intenso. Ancora oggi è cambiata verso la riflessione e il ricordo del passato. Infatti, nel suo libro ci sono pagine che raccontano di esperienze terribili e immagini crude che rimangono impresse nella mente del lettore. La sua vicenda dimostra come, nonostante la sofferenza subita, sia possibile conservare la propria umanità e mantenere il cuore libero dall’odio.

Tuttavia, anche nel contesto della sua vita successiva al ritorno dal campo di concentramento, Edith affronta nuovi pregiudizi e stereotipi. Calvino stesso, un grande intellettuale, si rivolse a lei dicendo “voi ebrei”, sottolineando quella forma di generalizzazione che spesso porta alla discriminazione. Ma Edith non si identifica con certe politiche o personaggi, come ad esempio Netanyahu, perché rifiuta di essere accomunata indiscriminatamente a chi condivide soltanto la sua origine.

La voce di Edith Bruck rappresenta un testimone vitale e potente di un passato che non deve mai cadere nell’oblio. Le sue esperienze e pensieri offrono lezioni cruciali sulla resistenza dell’anima umana e sul pericolo dell’indifferenza e della categorizzazione. Ed è attraverso memorie come la sua che si cerca di mantenere viva la consapevolezza delle atrocità passate, affinché non si ripetano mai più.

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