Per comprendere a fondo la storia del nostro Paese, è necessario partire dal passato remoto. Dopo la caduta dell’Impero Romano, l’Italia fu invasa da diverse potenze straniere, che frammentarono il territorio in molteplici stati e staterelli. Tuttavia, con le guerre d’Indipendenza e l’Impresa dei Mille, iniziò il processo di unificazione nazionale, culminato con la liberazione dagli invasori stranieri. Un momento decisivo fu la Breccia di Porta Pia, che segnò l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia.
La Prima Guerra Mondiale, pur causando milioni di vittime, contribuì a definire i confini naturali del Paese. A seguito di questo conflitto, iniziò un oscuro ventennio di dittatura in cui la libertà e la democrazia vennero soffocate, conducendo l’Italia alla Seconda Guerra Mondiale e alla lotta di Liberazione. Quest’ultima, caratterizzata da un altissimo numero di morti, vide tragedie come la Shoah, le Fosse Ardeatine, il sacrificio dei sette fratelli Cervi, l’Eccidio di Sant’Anna di Stazzema e l’eroismo del Carabiniere Salvo D’Acquisto. Le forze alleate e le brigate partigiane, attraverso grandi sacrifici, liberarono il Paese.
Non si può dimenticare l’onta delle leggi razziali e dei campi di internamento civile imposti dal regime fascista. Alla fine di questo lungo percorso, l’Italia conquistò la libertà e la democrazia, sancite in una Costituzione antifascista che, seppur modificata nel tempo, rimane un baluardo della nostra storia.
Tuttavia, le elezioni del settembre 2022 hanno segnato la vittoria di un partito politico di destra conservatrice, che oggi sembra mirare a dividere il Paese e a favorire lobby specifiche a scapito della popolazione, sempre più impoverita. Pur proclamando l’unità della patria, questo partito promuove una politica di “divide et impera”, puntando a instaurare una “democratura”, una forma di governo che mescola democrazia apparente e autoritarismo sostanziale.
Attualmente, l’Italia è suddivisa in venti Regioni, cinque delle quali godono di uno statuto speciale. Recentemente, il Senato ha approvato la riforma dell’Autonomia Differenziata, che permetterà ad alcune regioni di avere competenze su 23 materie, tra cui istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero. Le prime regioni a beneficiare di questa autonomia saranno Lombardia, Veneto e Liguria, che non contribuiranno più al bilancio nazionale, ma utilizzeranno le proprie risorse per finanziarsi. Questo rischia di creare enormi disuguaglianze tra il nord, sempre più ricco, e il sud, che rimane stagnante. Le regioni meridionali saranno così trattate come cittadini di seconda classe, con un aumento delle disparità sociali ed economiche.
Questa riforma appare come l’ennesima manifestazione di quella “annuncite” che si manifesta soprattutto in vista delle elezioni, in questo caso quelle europee. Le materie soggette all’Autonomia Differenziata saranno comunque vincolate ai LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), che dovranno garantire equità in settori cruciali come sanità, istruzione e trasporti. Tuttavia, il finanziamento di questa riforma rimane incerto: si farà ricorso al PNRR o ci sarà un aumento delle tasse? Il rischio è che il Paese si divida ulteriormente, con una crescente disuguaglianza tra regioni.
Ma come si è arrivati a questo punto? Probabilmente, perché all’interno della destra c’è chi punta a ottenere un “premierato”, trasformando l’Italia in una “capocrazia”, dove un leader detiene il potere assoluto, in cambio dell’Autonomia Differenziata. Le domande senza risposta sono molte, ma una cosa è certa: l’obiettivo sembra essere la destabilizzazione della democrazia, che dovrebbe garantire una distribuzione equa di ricchezza e potere, sostituendola con un governo delle élite, in cui pochi concentrano la maggior parte della ricchezza e del potere del Paese.