Tutto ebbe inizio con il ’68, che introdusse un decennio segnato dalla violenza. Gli anni ’70 furono caratterizzati da scontri tra le forze dell’ordine e due estremismi opposti, fuori dal perimetro costituzionale. Già nel 1970, Junio Valerio Borghese, leader del Fronte Nazionale, tentò un colpo di Stato, il celebre “Golpe Borghese”, fallito per cause sconosciute.

Quel periodo, chiamato “Anni di piombo”, fu segnato dall’uso delle armi negli scontri di piazza e dall’ascesa della “lotta armata”, con episodi di terrorismo. Dall’estrema sinistra emersero le Brigate Rosse e altri gruppi rivoluzionari, responsabili di morti, sequestri e “gambizzazioni”, con obiettivi come politici, giornalisti, docenti universitari e forze dell’ordine. All’estrema destra, invece, si attribuivano attentati terroristici che colpirono duramente la società civile, in un quadro definito “strategia della tensione”, volto a destabilizzare le istituzioni.

Le cronache dell’epoca erano dominate da immagini di violenti scontri tra manifestanti e polizia. Una foto simbolo di quel periodo immortalava un giovane di estrema sinistra, con il volto coperto, che puntava una pistola contro le forze dell’ordine: un’icona della brutalità degli “Anni di piombo”. La violenza raggiunse l’apice con una serie di stragi, tra cui quella di Bologna, la più sanguinosa nella storia italiana, seguita da altre tragedie come quella di piazza Fontana, Peteano, la Questura di Milano, piazza della Loggia a Brescia e l’Italicus.

Il clima di paura portava la gente comune a evitare luoghi pubblici, specialmente nelle grandi città, dove si rischiava di essere travolti da guerriglie urbane. Frequentare le università era difficile, soprattutto per coloro che volevano migliorare sé stessi e il Paese attraverso la cultura.

Nel 1978, un evento di estrema gravità sconvolse l’Italia: l’agguato di via Fani a Roma, con il rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, e l’uccisione della sua scorta. Il tragico epilogo fu l’assassinio di Moro, ad opera delle Brigate Rosse, che definirono l’attacco come “un colpo al cuore dello Stato”.

Recentemente, la lapide in memoria di Moro e della sua scorta è stata vandalizzata con una scritta infamante: “A morte le guardie”, accompagnata da una svastica. Oggi, si assiste a nuovi episodi di violenza tra estremisti, come dimostrano gli eventi di Macerata, segnati da una feroce aggressione di matrice razzista e neo-fascista. Questi segnali devono spingere a riflettere sull’importanza di un’educazione civica per i giovani e a promuovere un dialogo democratico più sereno.

Dal dopoguerra a oggi, l’Italia ha resistito a diverse ondate di violenza che avevano l’obiettivo di destabilizzare le istituzioni democratiche. È fondamentale garantire un maggiore sostegno affinché simili eventi non si ripetano mai più.

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