Angelo Peruzzi, originario di Blera nella provincia di Viterbo, è stato tra i portieri più rinomati al mondo. Classe 1970, soprannominato “Cinghialone” dagli appassionati, preferiva però il “Tyson” affibbiatogli da Liedholm. Finito a coprire il ruolo di portiere quasi per caso, oggi Peruzzi si tiene lontano dal mondo del calcio, considerandolo troppo simile a un cinema moderno che non gli appartiene. Ora, il suo tempo è riempito dalla gestione degli interessi immobiliari, la cura della natura, la ricerca di funghi e la caccia al cinghiale, trovando vera soddisfazione nei legami familiari e nelle piccole gioie.

Racconta che nei primi tempi il calcio si praticava tra le vie polverose di Blera con palloni di gomma, senza portieri, dove lui stesso si dilettava a provare i tiri a rete. Ma un episodio scolastico durante una partitella cambiò il corso della sua vita: il più alto tra i compagni diveniva portiere toccando la traversa. Quando l’ex romanista Scaratti chiese informazioni su di lui, il destino era sigillato: il suo percorso tra i pali era iniziato.

Il debutto avvenne in serie A il 13 dicembre 1987, durante un match Milan-Roma, quando subentrò sostituendo Tancredi. Il suo viaggio nel calcio professionistico non fu privo di ostacoli: l’esperienza a Verona fu solitaria e segnata dalla lontananza, mentre un ritorno a Roma venne oscurato da una squalifica per doping di 12 mesi, un periodo difficile che gli causò molta vergogna.

L’opportunità di rinascita giunse con la chiamata di Montezemolo per la Juventus, dove sotto l’ala di Boniperti conobbe successi incredibili, vincendo campionati e coppe prestigiose. Dalla Juventus si mosse all’Inter, poi alla Lazio, squadra nei pressi della sua Blera, vivendo momenti di serenità nonostante le vicissitudini societarie del club biancoceleste.

La sua carriera culminò con la partecipazione al Mondiale 2006, un torneo vinto tramite il lavoro di squadra e lo spirito combattivo derivante dagli strascichi di Calciopoli. Dopo il ritiro nel 2007, tentò una carriera da allenatore, ma il richiamo di una vita lontana dai riflettori del calcio divenne irrinunciabile. Chiusa l’esperienza da dirigente, Peruzzi vede la sua vita attuale come un continuo ritorno alle origini, alle radici semplici e autentiche del contatto con la natura.

Peruzzi riconosce nel calcio leggende intramontabili, come Diego Maradona, per lui il più grande di tutti, e Dino Zoff, un modello sia come portiere che come uomo. Critico verso il moderno “gioco dal basso”, mantiene una prospettiva distaccata da un sport che, sebbene lo abbia reso celebre, non rispecchia più i suoi valori attuali. La sua vita guarda al futuro con serenità, attorniata dalla bellezza semplice delle cose che realmente contano.

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