L’Europa si trova nuovamente di fronte a una crisi energetica, un fenomeno che si ripete con frequenza preoccupante. Le cause di questo ulteriore episodio includono le condizioni meteorologiche rigide in Nordamerica e Nordeuropa, difficoltà nelle infrastrutture norvegesi, e l’assenza di un accordo tra Russia e Ucraina per il transito del gas verso l’Occidente. Sebbene non manchi il gas, grazie a scorte ampie, i prezzi salgono, creando tensioni sui mercati.

Si sente spesso accusare la speculazione finanziaria di queste dinamiche, ma tale fenomeno è presente solo quando ci sono squilibri reali tra domanda e offerta. Torna alla ribalta anche l’idea del complotto, che vede gli Stati Uniti come profittatori dalle sanzioni alla Russia, vendendo gas a prezzi elevati all’Europa. Il pensiero dietrologico si sostiene con dichiarazioni di personaggi come Donald Trump, il quale ha suggerito di ridurre l’avanzo commerciale europeo acquistando più gas americano per evitare tariffe sui beni europei.

Dal momento in cui Putin ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, questa narrativa ha trovato terreno fertile, suggerendo che gli Stati Uniti stiano approfittando della situazione geopolitica a svantaggio dell’Europa. L’idea si è strutturata pensando che le sanzioni rendano più cara l’energia in Europa, mentre gli americani vendono il loro gas liquefatto a un prezzo più alto. È innegabile che le sanzioni abbiano avuto conseguenze sulla competitività dell’Europa, in particolare della Germania, uno dei paesi più colpiti.

Tuttavia, analizzando più a fondo, si scopre che l’America non è diventata automaticamente il più grande fornitore di gas per l’Europa, almeno non globalmente. Norvegia, Algeria e Qatar giocano un ruolo cruciale, mentre gli Stati Uniti si collocano in cima solo nella fornitura di gas naturale liquefatto (LNG). La produzione e il trasporto di LNG richiedono processi complessi e costosi, e sebbene gli esportatori americani ne stiano traendo profitto, la loro capacità è limitata e dipendente da investimenti che potrebbero risultare eccessivi se la situazione cambiassero.

Inoltre, molti produttori americani preferirebbero mantenere il gas all’interno degli Stati Uniti per tenere bassi i prezzi locali, il che limita ulteriormente la quantità di gas esportata. La dimensione interna del mercato americano di certo non desidera espandere le esportazioni europee a discapito della convenienza domestica.

Un altro punto cruciale riguarda il fatto che le difficoltà energetiche di alcuni paesi europei dipendono anche dalle loro scelte interne. Ad esempio, la Germania ha deciso di non sfruttare le proprie riserve di gas naturale attraverso il fracking, a causa di posizioni ambientalistiche discusse e, talvolta, sostenute da influenze esterne. In molti casi, queste decisioni energetiche hanno portato a un utilizzo maggiore di fonti più inquinanti, come il carbone.

Allo stesso modo, paesi come l’Italia, che hanno rinunciato al nucleare, si trovano a dover affrontare sfide energetiche significative. Il nucleare, considerato da alcuni come energia rinnovabile, è stato rivalutato in Stati Uniti e Cina, ma molte nazioni europee non ne hanno ancora ripensato l’uso, in parte per motivi ideologici e politici.

In conclusione, nonostante vi siano elementi di verità nelle critiche mosse agli Stati Uniti, le difficoltà energetiche dell’Europa sono anche, e forse soprattutto, conseguenza di scelte passate e strategie energetiche inadeguate adottate in vari paesi del continente.

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