Enrico Bartolini è attualmente il cuoco italiano con il maggior numero di stelle Michelin, ben 14. Questo record non gli impedisce di ammettere le proprie paure, confessando che molti lo percepiscono come invincibile, quando in realtà teme profondamente il fallimento.
Rievocando i suoi ricordi d’infanzia, Bartolini ha ben presente la vecchia casa dove trascorreva le sue giornate da bambino. Un’immagine che resta impressa è quella del caratteristico profumo del ragù preparato dalla zia: un sugo ricco e saporito che si attaccava a tutto. Un altro momento memorabile è stata la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio del 1982.
Per quanto riguarda le sue prime esperienze in cucina, piccolo Enrico, a soli tre anni, si ritrovò a cimentarsi con la preparazione del caramello, chiuso a chiave in cucina. Fu una maestra all’asilo a mostrargli i rudimenti di questa tecnica, e lui vi aggiunse frutta secca, creando così una sorta di croccante. Non era particolarmente appassionato dei giochi tipici dell’infanzia, come i soldatini, preferendo invece attività all’aria aperta come la pesca nel fiume, seguendo le orme dello zio Lucio.
Bartolini descrive se stesso da bambino come inconsapevolmente capriccioso, con episodi emblematici come quello in cui scoprì che le galline deponevano le uova e non riuscì a trattenersi dal romperle, nonostante gli sforzi della madre Maruska nel cercare di placare la sua vivacità. La sua famiglia aveva una dinamica piuttosto vivace, influenzata dalle divergenze politiche fra i nonni, creando un’atmosfera da “Peppone e Don Camillo”.
Passando ai ricordi della madre, Bartolini rammenta la pasta al pomodoro che preparava, semplice ma incisa nella sua memoria al punto da ispirargli la creazione di un piatto dedicato: un pomodorino fatto con pasta scotta frullata. Il rapporto con il padre era caratterizzato da continue sfide: credeva che Enrico cambiasse interesse troppo frequentemente. Fu così che, a tredici anni, decise di lavorare nella trattoria dello zio Attilio, “Il Colono”, affrontando il caos di servire più di 600 persone al giorno e scoprendo la magia della cucina tradizionale, come i fegatelli sotto strutto preparati in modo unico.
A quattordici anni, Bartolini si iscrisse all’istituto alberghiero di Montecatini e, al termine del primo anno, lavorò con lo chef Franco Pirozzi, imparando molto in appena tre anni. Quando Pirozzi sentì di avergli insegnato tutto il necessario, lo rimandò al fratello Antonio all’Hotel Croce di Malta. Anche lui, tuttavia, consigliò a Bartolini di proseguire la propria formazione all’estero. Questo suggerimento lo portò a Londra, grazie a una borsa di studio della scuola, esperienza accompagnata da lacrime durante tutto il viaggio iniziale.
In Inghilterra lavorò presso il Royal Commonwealth club sotto l’ala di Mark Page, per poi spostarsi a Parigi, attratto da un amico e dalla scena culinaria della città. Qui sperimentò i ristoranti stellati, investendo i suoi guadagni in esperienze culinarie nei locali come quelli di Paolo Petrini e Alain Dutournier. Ed è da solo a Parigi che impiegò il tempo libero visitando librerie o cercando nuovi CD.
L’evoluzione del suo percorso lo portò a lavorare con Fabrizio Barontini, che gli insegnò a capire le reazioni chimiche degli ingredienti, e poi dagli Alajmo, dove scoprì veramente il suo palato. Non che non avesse già dimostrato capacità, ma gli Alajmo gli insegnarono a utilizzarle al meglio. Ora, tuttavia, il suo processo creativo si è rallentato, con Bartolini impegnato mesi per affinare ogni nuovo piatto.
Nel dicembre 2019, Bartolini ricevette la riconoscenza della terza stella al Mudec, risultato che non si vedeva a Milano dai tempi di Gualtiero Marchesi. L’apertura presso il museo fu una scelta strategica dopo aver lasciato il Devero in Brianza, con l’intento di unire due eccellenze al servizio l’una dell’altra. Tuttavia, un maggior numero di ristoranti con tre stelle arricchirebbe ulteriormente il panorama milanese.
Bartolini sottolinea l’importanza di una revisione dei costi del lavoro da parte delle istituzioni, essendo lui responsabile di 700 dipendenti. Pur mantenendo un rapporto distaccato con la politica, crede nell’importanza di una solida opposizione.
In merito a Gualtiero Marchesi, Bartolini ricorda l’ammirazione reciproca iniziale che si trasformò in una lezione di umiltà quando Marchesi, dopo aver assaggiato i suoi piatti, lo esortò a migliorarsi ulteriormente. Questo scambio rafforzò in Bartolini l’impegno verso la perfezione, utile per la sua evoluzione come chef.