L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, in cui la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione. Questo principio, sancito dall’Articolo 1 della nostra Carta costituzionale, sottolinea l’importanza dei referendum come strumenti essenziali di espressione della volontà popolare all’interno di un contesto democratico. Tuttavia, questi strumenti non devono essere utilizzati in modo distorto per riportare il Paese a un passato che ha prodotto danni incalcolabili, un passato segnato dall’autoritarismo, dove il potere era concentrato nelle mani di un solo individuo. La storia ci insegna che non si può ottenere e mantenere il potere attraverso la violenza e la repressione della sovranità popolare.
Esaminando alcuni dei referendum più significativi che si sono svolti nel nostro Paese, emergono lezioni importanti su come la volontà del popolo possa essere rispettata o tradita. Un esempio emblematico è il referendum sull’acqua del 2011, in cui la maggioranza degli italiani ha deciso che l’acqua dovesse rimanere un bene pubblico, non gestito da società private a scopo di lucro. Eppure, spesso questa volontà popolare viene vanificata. Un esempio concreto si trova in un paese della provincia di Viterbo, dove le sorgenti idriche attive sono gestite dal Comune e il costo annuale dell’acqua per famiglia è ragionevole e sostenibile. In un altro comune, invece, dove la gestione è affidata a una società privata, il costo annuale per famiglia è cinque volte superiore, un onere decisamente insostenibile. Questo dimostra come, in alcuni casi, le scelte politiche possano ignorare o persino contraddire il volere dei cittadini espresso tramite referendum.
Un altro esempio significativo riguarda i referendum abrogativi del 1990 su due temi specifici: la caccia e l’uso dei pesticidi in agricoltura. In questo caso, la partecipazione popolare è stata talmente bassa che non si è raggiunto il quorum necessario, e i referendum sono stati dichiarati non validi. Questa mancata partecipazione può essere vista come un’indicazione dell’indifferenza o della mancata mobilitazione dei cittadini su questi temi specifici.
Anche il tema del nucleare ha visto un pronunciamento popolare chiaro e netto. In ben due occasioni, nel 1987 e nel 2011, gli italiani hanno respinto l’idea di sviluppare l’energia nucleare nel Paese. Nonostante ciò, si torna periodicamente a proporre il cosiddetto “nucleare di nuova generazione”. Ma è pur sempre nucleare, con tutte le problematiche connesse alla gestione delle scorie radioattive, che nessuno vuole nel proprio territorio. Queste scorie rappresentano anche un potenziale pericolo militare, poiché potrebbero essere utilizzate per creare “bombe sporche” a base di plutonio. Piuttosto, bisognerebbe concentrarsi sulla promozione delle energie rinnovabili. Il fotovoltaico, ad esempio, è una fonte di energia pulita e rinnovabile che permette il riciclo di oltre il 95% dei materiali come vetro, silicio e alluminio, offrendo una soluzione più sostenibile per il futuro.
In questo contesto, è essenziale che i referendum futuri ricevano un’attenzione adeguata e un dibattito pubblico approfondito per garantire che i risultati siano rispettati e che le decisioni prese riflettano realmente la volontà popolare. Tuttavia, c’è il rischio che il ricorso ai referendum venga strumentalizzato per fini che potrebbero minacciare la coesione del Paese e la sua democrazia.
Le due riforme proposte dalla destra — l’autonomia differenziata e il premierato — potrebbero, se approvate tramite referendum, portare a una profonda divisione del Paese e a una concentrazione di potere pericolosa. L’autonomia differenziata rischia di creare una “Italia spezzata”, mentre il premierato concentrerebbe il potere nelle mani di un solo individuo. Se questi cambiamenti venissero approvati, si creerebbero le condizioni per stravolgere la Costituzione e riportare il Paese verso un passato autoritario che non può e non deve tornare.
Le generazioni uscite dal dopoguerra, avendo conosciuto condizioni di vita estreme, hanno lottato duramente per lasciare alle future generazioni un Paese migliore e più sostenibile. Tuttavia, nel corso dei decenni, molti fattori hanno contribuito a un progresso caotico: dall’aumento incontrollato della popolazione mondiale all’inquinamento causato dalle guerre, dalle cementificazioni selvagge che hanno sottratto suolo fertile alle “cattedrali nel deserto” rappresentate da grandi industrie e immobili. I cambiamenti climatici stanno causando desertificazione e la distruzione di culture locali, mentre l’inquinamento provocato dalle automobili sempre più grandi e potenti solleva interrogativi sul futuro della mobilità e se le auto elettriche rappresenteranno davvero una soluzione sostenibile.
In una democrazia, i referendum sono uno strumento cruciale: rappresentano la “chiave di volta” per un cambiamento sostenibile e responsabile, in grado di garantire un futuro migliore alle prossime generazioni. Ma devono essere usati con saggezza e rispetto per la volontà popolare, senza cedere alla tentazione di manipolare il potere per interessi particolari o pericolose derive autoritarie.