Per comprendere appieno il contesto in cui viveva Alessia Pifferi, è necessario recarsi a Ponte Lambro, situato all’estrema periferia sud-est di Milano. Quest’area è caratterizzata da un “rettangolo verticale molto edificato”, posizionato tra la tangenziale e il fiume Lambro, uno dei più inquinati del Paese. È qui che si è consumata la tragica vicenda di Diana, una bimba di un anno e mezzo lasciata sola a morire di stenti nel suo letto, mentre la madre era lontana, fuori città con il compagno, durante le calde giornate di luglio.
Alessandro Gilioli, un giornalista esperto, noto per il suo passato all’Espresso e a Radio Popolare, ha investigato su questo caso, trasformando le sue indagini nel libro “Un futuro gioioso davanti”. Gilioli ha esaminato attentamente i documenti legali e raccolto le voci di tutte le persone collegate a questo episodio desolante, molte delle quali vivono a Ponte Lambro, un quartiere paragonabile a un palcoscenico teatrale per il suo isolamento sociale.
L’inchiesta non è solo un racconto di cronaca nera, ma una finestra aperta su più livelli di complessità: psicologia, disagio sociale, e le trasformazioni della società italiana. Il caso di Alessia Pifferi, condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario, solleva interrogativi anche in ambito giudiziario, tanto che la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha ordinato una nuova perizia psichiatrica, accogliendo le richieste dell’avvocatessa Pontenani, per valutare meglio la capacità di intendere e volere della donna.
Questo caso non riguarda solo un isolato dramma familiare, ma un punto di riflessione su come le periferie dimenticate, immerse in un clima di isolamento e degrado culturale e sociale, possano influenzare le vite di chi le abita. La vicenda di Pifferi non solo delinea i contorni del sottoproletariato moderno, frutto di ondate migratorie interne ed esterne, ma mette in luce il divario crescente tra i movimenti verso un’emancipazione individuale e il crollo di un sostegno collettivo.
La storia amplifica un dibattito fortemente polarizzato dai media: la dualità tra madre assassina e vittima delle circostanze. Tuttavia, il caso si sviluppa in una rete di problematiche più articolate, comprese le carenze del sistema di supporto sociale, già evidenti quando Alessia, dopo aver partorito da sola, si è presentata senza lavoro né compagno a un ospedale. Anche successivamente, nonostante i segnali di allarme, le risposte dei servizi sociali sono state insufficienti.
La narrazione evidenzia inoltre le dinamiche di solitudine e alienazione sociale sempre più frequenti, in parte esemplificate dal fatto che Pifferi si affidasse a piattaforme di incontri per cercare relazioni. Di Diana, purtroppo, si conosce poco e le informazioni derivano principalmente dalle parole della madre e da contatti sporadici con poche persone. La sua storia, fragile e invisibile, si è svolta al di sotto del radar delle istituzioni, mostrandoci l’urgenza di affrontare temi come l’emarginazione e la crescente atomizzazione sociale.