La tragedia del neonato deceduto nella culla termica a Bari riporta alla luce un problema annoso e insidioso: l’ipocrisia. La presenza stessa di una culla termica, mal gestita e lasciata priva di manutenzione, simboleggia un gesto di facciata che non si traduce in un reale sostegno o servizio. È un’immagine di bontà e premura che si dissolve alla prima difficoltà, quando il telefono non risponde e il riscaldamento è assente.
Questo evento drammatico rappresenta una critica non solo alla Chiesa, che spesso manifesta atti simbolici di aiuto senza un effettivo impegno duraturo, ma anche al più ampio spettro della società. Si tratta di un modo di apparire virtuosi senza un’azione concreta e continuativa, un atteggiamento che non risparmia nemmeno i più alti rappresentanti religiosi. Si pensi all’attuale Papa, il quale predica povertà e modestia usando un’utilitaria, mentre il patrimonio rimane intatto, oppure sfrutta una carrozzina per suscitare compassione, salvo abbandonarla in momenti di opportunità.
Anche nel mondo dello spettacolo e dei social media, figure influenti adottano comportamenti similari. Cantanti e influencer vantano gesti di beneficenza, postandoli come trofei sui social network, ottenendo consensi e visibilità, più che un vero impatto positivo. Appare come una strategia per attrarre attenzione piuttosto che un genuino aiuto verso il prossimo.
In parallelo, alcuni giovani privilegiati, figli di famiglie benestanti, cercano di riscattare un senso di colpa attraverso discorsi di tolleranza e accoglienza. Tuttavia, spesso tali promesse rimangono parole, mentre la gestione dei problemi sociali ricade su coloro che vivono nelle periferie, lontani dal benessere e dalla comodità delle loro realtà.
Il piccolo di Bari è stato vittima di questa stessa follia collettiva, chiamata ipocrisia, ucciso non da un singolo individuo, ma da un sistema che si fregia di virtù senza metterle realmente in pratica. La madre del bambino, riconoscendo i propri limiti, ha compiuto un doppio atto d’amore: la nascita e la consegna alla culla della speranza. Purtroppo, in quel letto di promesse disattese, l’ipocrisia ha segnato un destino tragico.
Questa condizione invita a una riflessione profonda e sprezzante della mera apparenza, chiamando a un reale cambiamento che possa tradurre i simboli in atti concreti e responsabili, abbandonando la facciata per un autentico impegno verso gli altri.