La stanza di Marcel Proust non era solamente una stanza ma il suo mondo, il suo universo. Gli oggetti attorno a lui, nel suo immaginario, avevano una vita propria, parlavano, avevano delle espressioni, comunicavano pareri, opinioni, umori.
Lui non voleva sentire i rumori che provenivano dalla strada sotto casa, una strada di Parigi, così fece insonorizzare le pareti del suo rifugio. Il suo letto a baldacchino era completamente circondato da una tenda, per paura dei batteri. Proust era molto malato, in realtà Proust è sempre stato malato, sin da bambino ha sofferto di asma.
Passava le sue giornate nel suo letto, pieno di fogli, appunti, bozze. Indossava dei guanti, immancabili compagni. Scriveva tutto il giorno e spesso anche la notte. Si può dire che, specialmente negli ultimi anni della sua vita, non abbandonò mai la sua camera. Una camera inaccessibile ai più, aperta solamente per una ristrettisima cerchia di amici e familiari.
La storia del rapporto di Proust con la sua famiglia, descritta benissimo nella sua “Ricerca”, è una storia di un profondo legame. Specialmente con la nonna e la madre. La famiglia di Proust era una famiglia francese benestante, ben inserita nel contesto parigino. Il padre non ostacolò la sua vocazione di scrittore, anzi cercò di incoraggiarlo. Paradossalmente questo, forse, ha rappresentato un blocco per la sua opera, come ci racconta lui stesso nella “Ricerca”.
La ricerca del tempo perduto, in francese semplicemente Recherche, è la sua opera magna, si sviluppa in sette volumi. La storia di una vita, la sua vita. Delle sue relazioni sociali, dei suoi incontri mondani, dall’infanzia alla maturità. I suoi amori, i suoi turbamenti, le sue scoperte, i suoi dolori, tutto descritto in questi libri che Proust pubblicò tra il 1913 e il 1927.
Al centro dell’opera c’è un concetto fondamentale nel pensiero proustiano, la memoria involontaria. Quei ricordi che si affacciano nella nostra mente senza un motivo preciso. Proprio quel tipo di ricordi, inconsci, sono importantissimi per Proust, e rappresentano il pane di cui si nutre la sua creatività.
Proust era molto generoso, gli piaceva elargire mance. Si narra che un giorno chiese ad un cameriere qualche Franco in prestito, poi gli disse: “ecco questi sono per lei”. Sulla sua presunta omosessualità è stato scritto tanto, quello che è sicuro è che era dotato di una sensibilità fuori dal comune. Aveva antenne capaci di captare le regioni più remote dell’anima, non solo delle persone ma della natura, dei fiori, dei fiumi, degli alberi, dei villaggi.
Il suo paradosso fu quello di aver descritto il profondo dell’animo umano avvalendosi di una vita mondana, piena di lustrini e payette. Un viaggio strano quello di Proust, partito dalle regioni apparentemente più superficiali e futili dell’esistenza, per arrivare alle stanze più profonde e intime.
Ma che fissato con ‘sti rumori. Io lavoro meglio col casino attorno, al massimo ci mettevo su un po’ di musica.
Mio nonno diceva sempre che le stanze sanno più di quanto pensiamo. Forse Proust aveva ragione a darle valore.
Interessante quanto il mondo di un uomo possa essere racchiuso in una sola stanza. Proust ha creato un universo attorno a sé, un po’ come facciamo oggi con i nostri dispositivi digitali.
Io adoro come Proust riesce a rendere vivo ogni piccolo dettaglio della sua stanza, proprio come se gli oggetti fossero dei personaggi del suo romanzo!