Recenti ricerche hanno svelato la sorprendente presenza di nanoplastiche nel cervello umano, una quantità così significativa da riempire un cucchiaio intero. Questo studio, condotto dai ricercatori della Facoltà di Farmacia dell’Università di Scienze della Salute del New Mexico, è stato pubblicato sulla rivista Nature Medicine il 3 febbraio. Le indagini non rappresentano una novità nel campo della scoperta di micro e nanoplastiche all’interno degli organi umani. Frammenti di queste sostanze sono già stati individuati nel cuore, nei polmoni, nel fegato, nei reni, nella placenta e nel cervello. Tuttavia, ciò che rende questo studio particolarmente rilevante è la dimensione ridotta delle particelle rilevate, che si sono rivelate 7-30 volte più piccole rispetto a quelle trovate nei reni e nel fegato.
I ricercatori hanno esaminato campioni di tessuto cerebrale, renale ed epatico di persone sottoposte ad autopsia forense tra il 2016 e il 2024, confrontandoli con campioni di individui deceduti tra il 1997 e il 2013. La corteccia frontale, area cruciale per pensiero e ragionamento, è stata analizzata, risultando colpita maggiormente da demenza e Alzheimer. Si è scoperto che nel cervello di soggetti con un’età media di 45-50 anni sono stati trovati 4.800 microgrammi di plastica per grammo di tessuto. Rispetto al 2016, l’ammontare di nanoplastiche nel cervello era aumentato del 50%, suggerendo che il cervello umano contemporaneo è composto al 99,5% di materia cerebrale e per la restante parte di plastica. In specifico, il polietilene, una plastica comunemente usata nei prodotti di consumo quotidiano, era il materiale predominante.
Le nanoplastiche, misurabili in miliardesimi di metro, presentano dimensioni sensibilmente inferiori al capello umano. Secondo gli studiosi, il cervello sembrerebbe attrarre particelle di nanometri di lunghezza. Sebbene la correlazione tra l’età degli individui al momento della morte e i livelli di plastica non sia stata evidenziata, è stato trovato un numero fino a cinque volte maggiore di frammenti plastici nei cervelli dei soggetti affetti da demenza. Tuttavia, gli esperti non ritengono che le microplastiche possano essere un fattore causale della malattia.
La ricerca non chiarisce ancora gli effetti che questa massiccia presenza di plastica può avere sulla salute. Inoltre, non è noto se le particelle possano essere espulse dal corpo o se si accumulino permanentemente nei tessuti neurologici. Esiste la probabilità che organi come fegato e reni riescano a espellere alcune plastiche, ma se ciò avvenga nel cervello, resta incerto.
L’incremento esponenziale della produzione di plastica dalla fine del secolo scorso accentua il pericolo. Si stima che oltre la metà della plastica mai prodotta sia stata generata dal 2002, con una previsione di raddoppio entro il 2040. L’inalazione e l’ingestione, attraverso gli oggetti di uso quotidiano e l’acqua in bottiglia, rappresentano le vie principali attraverso cui la plastica penetra nel corpo umano. Studi recenti hanno suggerito possibili legami con disordini endocrini o infiammazioni, sebbene ulteriori ricerche siano necessarie per confermare tali ipotesi.
Limitare l’uso di plastica e ridurre l’esposizione a contenitori di plastica riscaldati può essere un primo passo per contrastare questa sconcertante realtà in attesa di approfondimenti scientifici.