Un notevole progresso nella lotta contro l’inquinamento da plastica globale arriva da un istituto di ricerca giapponese, che ha progettato un materiale innovativo dotato di stabilità, resistenza e una capacità di riciclo semplificata, il tutto senza il rilascio di composti tossici o anidride carbonica quando disperso nell’ambiente. Questo sviluppo potrebbe rappresentare una tappa fondamentale per affrontare l’emergenza ecologica rappresentata dai rifiuti plastici.
La problematica dei rifiuti plastici ha raggiunto una tale entità che è impossibile ignorare la presenza della cosiddetta “isola di plastica” nel Pacifico, un accumulo di detriti di dimensioni quattro volte superiori rispetto alla Germania. Inoltre, le microplastiche, minuscoli frammenti che si originano dal deterioramento di capi d’abbigliamento e contenitori, sono ormai state identificate persino nel sangue umano. Nonostante la consapevolezza crescente, la soluzione definitiva per questa crisi ecologica rimane elusiva.
Mentre alcuni cercano di risolvere il problema attraverso politiche ambientali o indagano sulla possibile esistenza di microbi in grado di degradare completamente materiali plastici come il PET, i ricercatori giapponesi del RIKEN Center for Emergent Matter Science, insieme all’Università di Tokyo, hanno intrapreso un approccio differente. Hanno infatti creato una plastica intrinsecamente non inquinante, con caratteristiche di resistenza, durata e duttilità paragonabili a quelle delle plastiche tradizionali, ma che si caratterizza per una biodegradabilità naturale e un degrado possibile anche in acqua marina.
Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Science, apre scenari rivoluzionari. Se implementata su larga scala, la plastica sviluppata può avere l’efficacia di eliminare il problema dell’accumulo nei mari, nelle foreste e nelle discariche, insieme alla prevenzione dell’accumulo di microplastiche dannose nel suolo e negli oceani. A differenza delle plastiche biodegradabili esistenti, come il PLA, che non si disgregano in ambiente marino, la nuova formulazione offre una soluzione tangibile.
Il principale innovazione si trova nelle “plastiche supramolecolari”, che sfruttano polimeri dotati di strutture mantenute da interazioni reversibili. La combinazione di due monomeri ionici permette la creazione di ponti salini reticolati, conferring resistenza e flessibilità alla plastica. L’elemento rivoluzionario è stato trovato nell’uso dell’esametafosfato di sodio e del solfato di guanidinio. Quest’ultimo, oltre a garantire stabilità, consente di modulare le diverse durezze della plastica a seconda del tipo di solfato impiegato.
Una delle incognite riguarda i costi di produzione, poiché la plastica petrolchimica beneficia di economie di scala. Ancora nessuna informazione dettagliata è disponibile sulla sostenibilità economica dell’industrializzazione di questa nuova tecnologia. Inoltre, l’inquinamento marino da attrezzature da pesca richiede ulteriori soluzioni, poiché le reti e altri strumenti devono mantenere proprietà specifiche che impediscono la dissoluzione in mare.
Nonostante queste sfide, i primi test effettuati con fogli di plastica sotterrati hanno mostrato risultati straordinari, poiché si sono disgregati completamente in dieci giorni, apportando al suolo nutrienti come fosforo e azoto, trasformando la plastica stessa in un fertilizzante utile al terreno.