La Bibbia racconta che durante l’Esodo dall’Egitto, Dio nutrì il popolo eletto con quaglie e manna. Tuttavia, coloro che mangiarono le quaglie furono colpiti da piaghe e morirono, mentre chi si nutrì della manna trovò le forze per proseguire il cammino.
Questa storia sembra ripetersi oggi? Alcuni migranti accettano di buon grado di trascorrere parte della loro vita in una caserma dismessa in Grecia o Turchia, come fosse manna per loro. Altri, invece, gridano “APRIAMO I CONFINI”. I migranti di Idomeni, come quelli di Calais, continuano a spostarsi sempre più a nord, mettendo in difficoltà le autorità dei Paesi europei.
Attraversano il mare d’inverno, quando potrebbero aspettare almeno l’estate, e si accampano in tende di fortuna, tra sporcizia e degrado, sempre più vicini al confine. Rifiutano l’assistenza dei governi, che offrono loro sistemazioni più pulite e confortevoli altrove, ma lontano dalla frontiera che vogliono disperatamente attraversare, a costo della loro vita e, ancor peggio, della loro dignità.
Un esempio emblematico è la situazione in Francia. Nonostante nel Paese non vi sia alcuna guerra o carestia, molti migranti rischiano la vita tentando di attraversare la Manica, diretti verso il Regno Unito. Ma perché affrontare pericoli così gravi per arrivare in un Paese che non promette migliori condizioni immediate di vita? Questa corsa verso l’ignoto, con l’ostinazione a varcare confini che sembrano fine a sé stessi, rischia di trasformarsi in una tragica ossessione, alimentando un senso di disperazione e una mancanza di scopo.
Questo continuo attraversamento, che spinge i limiti sempre più in là, senza una meta o una ragione chiara, rischia di diventare il terreno fertile per fenomeni estremi, come il terrorismo, che prospera dove il senso di disorientamento e sradicamento prevale.
Mi sembra davvero assurdo che queste persone mettano a rischio la loro vita e dignità per attraversare dei confini. Se ci sono offerte di aiuto e sistemazioni migliori, perché non accettarle?