Un’ombra silenziosa che si insinua nelle maglie della sicurezza nazionale: l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Milano sta facendo emergere uno scenario oscuro, degno delle più contorte teorie sul deep state. L’operazione, condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Varese, ha portato all’arresto di quattro persone e all’emissione di provvedimenti interdittivi e sequestri per alcune società coinvolte in un presunto traffico di informazioni riservate. Le accuse riguardano l’accesso abusivo a sistemi informatici e una pericolosa rete di scambio di dati strategici.
Gli indagati avrebbero infiltrato le banche dati centrali del sistema italiano, sottraendo dati da archivi protetti come Sdi, Serpico, Inps, Anpr e Siva, serbatoi di informazioni riservate che spaziano dalle posizioni fiscali e sanitarie dei cittadini a dettagli sulle loro situazioni bancarie. In sostanza, avrebbero avuto accesso all’intimità economica e personale di cittadini e figure pubbliche per rivenderli a soggetti terzi: una ragnatela invisibile di monitoraggio. Le finalità non si limiterebbero, secondo gli inquirenti, a semplici fini di lucro, ma potrebbero nascondere mire più articolate e oscure. Tra i “clienti” di questi servizi informativi vi sarebbero media e figure con interessi a livello politico ed economico, sollevando interrogativi inquietanti sulla possibilità di manipolazioni e ricatti nascosti dietro il sipario dell’informazione.
L’operazione della DDA è stata coordinata con la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, e ha previsto una serie di perquisizioni in Italia e all’estero. Secondo le prime indiscrezioni, all’interno della rete ci sarebbero ex membri delle forze dell’ordine, informatici e hacker, un mix di profili che getta una luce inquietante sull’origine e l’evoluzione del fenomeno. L’eco di scandali passati, che hanno già sollevato sospetti sul monitoraggio di figure politiche e imprenditoriali di rilievo, si fa sentire anche in questa operazione, che mette sotto accusa la trasparenza e l’integrità del sistema di gestione dei dati italiani.
Tra i dati sottratti figurano informazioni sensibili su politici, imprenditori e cittadini, raccolti in un gigantesco archivio invisibile e virtualmente inafferrabile. L’accesso abusivo a sistemi informatici protetti è solo la superficie di un meccanismo che nasconde probabilmente qualcosa di più profondo: un livello di controllo e sorveglianza che solleva legittimi sospetti sulle dinamiche di potere dietro le quinte. Le accuse di “esfiltrazione” di dati per finalità economiche e di altra natura rimandano a scenari internazionali di sorveglianza occulta, una sorta di deep state italiano in grado di accedere e monitorare indiscriminatamente l’identità digitale di migliaia di individui.
Per sabato 26 ottobre è stata convocata una conferenza stampa presso la Procura di Milano, a cui parteciperà anche il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, che tenterà di fare luce sull’operazione. Il contesto non manca di evocare una realtà dove ogni cittadino potrebbe essere tracciato, schedato e monitorato, con un’efficienza e una segretezza che fanno riflettere sull’effettiva trasparenza del sistema.
L’inchiesta, al di là delle sue conseguenze immediate, richiama la necessità di una riflessione sul sistema di protezione dei dati sensibili. L’operazione della DDA di Milano, più che solo un’indagine contro il crimine informatico, sembra così rivelare un problema strutturale e potenzialmente inquietante: il confine labile tra legalità e sorveglianza, che potrebbe lasciare aperta la porta a derive inquietanti nello scenario italiano di gestione dei dati.