Quando si contatta Paola Minaccioni telefonicamente, fresca di premiazione al Premio Afrodite per il suo ruolo in “Diamanti” di Ferzan Özpetek, si scopre che attualmente è impegnata sul set di una serie televisiva interpretando una suora. Sebbene il ruolo sia drammatico, il suo talento nel far ridere non passa inosservato. “Mi sorprendo sempre di riuscire a suscitare ilarità,” racconta. Anche durante le riprese, un giovane attore le ha confessato quanto fosse difficile mantenere la serietà accanto a lei, poiché la sua presenza lo portava inevitabilmente a ridere.

Ma cosa rappresenta per Minaccioni l’abilità di far ridere il pubblico? È definito come un dono, una sorta di rito sacro. L’atto di migliorare l’umore altrui e di incontrare persone che, magari per strada, si fermano per esprimerle quanto le faccia divertire, è vissuto come un’esperienza unica. Nel contesto teatrale, confidarsi che le risate del pubblico possono far provare una specie di delirio di onnipotenza, poiché ogni parola o gesto possono trasformarsi in risata.

Recentemente, Paola è stata impegnata a teatro con un monologo drammatico, diverso da quelli cui il pubblico è abituato. La produzione, basata sulla storia di Elena la matta, una donna vittima dell’Olocausto, ha riscosso un notevole successo. L’attrice ha scelto di assumersi la responsabilità di portare in scena una narrazione “anti comica”, e il teatro pieno è stata la dimostrazione del successo di questa scelta audace.

Quando si discute delle motivazioni dietro questa scelta lontana dall’etichetta comica, emerge che Minaccioni attraversa un periodo di maturità professionale, dove l’esperienza accumulata la spinge a ricercare ruoli più complessi e sfaccettati, lontani dai soliti stereotipi. Da giovane, com’era difficile delineare un percorso lavorativo ben definito. Oggi, invece, si sente pronta a riscoprire il tragico, in particolare sul palco. Eppure, abbracciandone la consapevolezza, riesce a declinare offerte che la manterrebbero ancorata ad un’unica immagine.

L’interprete discute anche delle difficoltà incontrate dalle attrici nel liberarsi da categorie prestabilite, un problema condiviso in ambito artistico. Minaccioni sottolinea l’importanza per un’artista di restare dinamica, aperta al cambiamento, e capace di trascendere le aspettative altrui. Questo desiderio di emancipazione potrebbe causare disagio, ma è visto come un normale processo di maturazione.

La sua vita personale è altrettanto intrecciata alla sua carriera, ma scendere dal palco significa ritornare ad una normalità fondamentale, lontana dal divismo. Riconosce un’estrema affinità con il personaggio di Elena, soprattutto per il sentimento di solitudine e la lotta per farsi ascoltare. Questo, secondo Paola, è condiviso da molte donne forti.

Per concludere, Minaccioni riflette su come la comprensione di sé stessa sia capace di influire sulla percezione che gli altri hanno di noi. Essa rappresenta una condizione fondamentale per vivere una vita appagante, senza essere schiavi dell’altrui opinione. Questo profondo percorso interiore è ciò che definisce la sua maturità: scegliere di vivere in armonia con sé stessa, accettando i cambiamenti con apertura e positività.

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