La figura dello scrittore, spesso percepita come drammatica e vanitosa, potrebbe sembrare poco adatta a trasmettere saggezza. Sebbene sia possibile trarre alcune lezioni da una vita dedicata alla lettura e alla scrittura, è anche vero che tali insegnamenti tendono a rimanere celati. In questo contesto, l’atto di scrivere può apparire come un compito da svolgere con ironia e autoironia. Non si deve sottovalutare l’influenza della scrittura su questioni politiche o sulla speranza, ma è difficile credere che un autore possa realmente mirare a questi obiettivi.
Durante una conferenza di George Saunders, fu paragonato un grande racconto a una canzone di Neil Young: i singoli elementi potrebbero non essere perfetti, ma il risultato finale è armonioso. Questo concetto si applica a tutte le forme di scrittura: si scrive, si uniscono i pezzi e si spera che qualcosa risuoni nel lettore.
Il nuovo libro di Ta-Nehisi Coates, The Message, ambisce a obiettivi ben più elevati. Si apre con una lettera indirizzata ai suoi studenti della Howard University, a cui si rivolge come “compagni”. Coates utilizza la forma epistolare già vista in Between the World and Me, una lunga lettera al suo giovane figlio. In una recente intervista con il New York Times, ha rivelato che la lettera d’apertura di The Message è un omaggio a Why I Write di George Orwell, nel quale l’autore sostiene che solo conoscendo lo sviluppo personale di uno scrittore si possano comprendere le sue motivazioni.
In questo spirito, Coates offre la sua interpretazione dell’idea di Orwell. Mentre Orwell ricorda la sua scoperta della gioia delle parole a sedici anni, Coates racconta come a cinque anni fosse affascinato dalla musicalità delle poesie e dei versi. Entrambi gli autori, pur con stili diversi, esplorano l’importanza del linguaggio nella propria formazione.
Orwell, nei suoi scritti, infonde una dose di leggerezza. Una delle sue motivazioni principali per diventare scrittore è “il puro egoismo”. Sostiene, inoltre, che sebbene la politica sia il punto di partenza, la scrittura dovrebbe cercare un’esperienza estetica, amalgamando pregiudizi e preferenze sviluppati nel corso della vita. Egli scrive che il suo capolavoro, Omaggio alla Catalogna, pur essendo un libro politico, è redatto con una certa distanza e attenzione per la forma.
Anche se Why I Write è una lettura ricorrente per molti scrittori, non tutti sono convinti delle conclusioni di Orwell, soprattutto riguardo al suo lavoro. In particolare, Omaggio alla Catalogna e i suoi scritti sull’orrore del colonialismo e della povertà sono considerati i momenti migliori della sua carriera, assieme a Riflessioni su Gandhi, dove affronta l’eredità di Gandhi senza sentimentalismi.
La lettura dell’eseprio di Coates offre una riflessione su un’ironia sottile e fastidiosa. Coates conclude la sua lettera agli studenti con un paragrafo in cui ammette di non aver mai scritto l’esaustivo saggio promesso due anni prima. Dopo aver viaggiato in vari paesi, torna con una sorta di compito in sospeso: delle note su linguaggio, politica e scrittura. Pur dedicando le sue riflessioni ai suoi studenti, Coates pensa a tutti i giovani scrittori e al loro compito di contribuire a salvare il mondo.
Nel novembre scorso, meno di un mese dopo l’inizio della guerra a Gaza, Coates è apparso nel programma di Amy Goodman Democracy Now! per parlare delle sue esperienze in Cisgiordania, dimostrando la sua volontà di affrontare tematiche importanti attraverso la scrittura. La sua riflessione sul legame tra linguaggio e politica invita a considerare il potere delle parole in un mondo sempre più complesso e conflittuale.
Scrivere con ironia e autoironia… un bel concetto, ma pochi riescono davvero a farlo. Coates sembra promettente, mi vien voglia di leggere il suo nuovo libro!
Sta storia de scrivere è un casino, mica lo so se alla fine serve a qualcosa. Ma SSRano sballato quelli che credeno che co ‘na penna cambiano er mondo.
Mah, io penso che gli scrittori siano spesso troppo pieni di sé e lontani dalla realtà. Anche se leggendo si può imparare qualcosa, credo che la saggezza vera venga dall’esperienza, non dai libri.