Le dimissioni di Carlos Tavares da amministratore delegato di Stellantis, annunciate da Bloomberg, non giungono come una sorpresa, ma come un atto inevitabile dopo anni di gestione approssimativa che hanno causato danni enormi, soprattutto all’Italia. Il calo vertiginoso dei ricavi e delle vendite registrato dal gruppo automobilistico nel terzo trimestre del 2024 non è altro che l’ultimo capitolo di una strategia fallimentare che ha portato la multinazionale sull’orlo di una crisi di credibilità.

Una gestione da dilettante allo sbaraglio

I numeri parlano chiaro: nel terzo trimestre, i ricavi di Stellantis sono crollati del 27%, attestandosi a 33 miliardi di euro. Le consegne consolidate sono scese a 1,148 milioni di unità, un calo del 20% rispetto all’anno precedente, con perdite sia in Europa (-17%) sia in Nord America (-36%). Questi risultati non sono il frutto di contingenze imprevedibili, ma di scelte operative poco lungimiranti e di una visione strategica confusa.

Il mercato europeo, che rappresenta una delle aree chiave per il gruppo, è stato penalizzato da un mix di prodotti sbilanciato e da una politica commerciale poco incisiva. Ancora più grave è la situazione in Nord America, dove la riduzione delle vendite riflette il fallimento nel gestire i cambiamenti nel panorama dell’automotive, come la transizione verso l’elettrico e l’aumento della concorrenza.

Tavares ha dimostrato un’inadeguatezza imbarazzante nel fronteggiare queste sfide, preferendo riduzioni di inventario e tagli produttivi invece di investire in innovazione e riorganizzazione. Una gestione da dilettante allo sbaraglio, i cui costi sono stati scaricati sui lavoratori, sui fornitori e sui consumatori italiani, già vessati da un contesto economico difficile.

Responsabilità condivise: colpe anche degli Elkann

Le responsabilità di questo disastro, però, non ricadono solo su Tavares. Anche la famiglia Elkann, che ha sostenuto la sua nomina e ne ha difeso l’operato fino all’ultimo, deve rispondere di scelte che si sono rivelate deleterie per Stellantis e per l’Italia. Come azionisti di riferimento e guida strategica del gruppo, avrebbero dovuto vigilare meglio e agire con maggiore tempestività per correggere una rotta che era evidentemente sbagliata da tempo.

La decisione di affidare la gestione temporanea del gruppo a un comitato interno guidato proprio da John Elkann appare come un tentativo tardivo di salvare il salvabile. Ma chi restituirà agli italiani ciò che è stato perso? Chi ripagherà il danno d’immagine, il calo degli investimenti, le opportunità industriali mancate?

Un futuro incerto per Stellantis e per l’Italia

Stellantis, nata dalla fusione tra FCA e PSA, doveva rappresentare una grande opportunità per il settore automobilistico italiano, con la promessa di rafforzare l’occupazione, rilanciare i marchi storici e investire nel futuro della mobilità. Sotto la gestione Tavares, queste promesse si sono trasformate in illusioni.

Ora il gruppo si trova di fronte a sfide enormi: dalla transizione verso l’elettrico alla competizione con colossi come Tesla e i marchi cinesi emergenti. Per l’Italia, resta il rischio che gli stabilimenti sul territorio vengano ulteriormente penalizzati, con ripercussioni occupazionali e industriali gravissime.

Le dimissioni di Tavares erano doverose, ma non bastano. È necessario che sia lui che gli Elkann si assumano pienamente la responsabilità dei danni causati, restituendo agli italiani almeno una parte di ciò che è stato tolto. Solo con una leadership più competente e una visione più chiara sarà possibile invertire la rotta e salvaguardare il futuro di Stellantis e del comparto automobilistico italiano.

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