Nel contesto italiano, il ritorno di una presidenza Trump suscita preoccupazioni significative, specialmente tra gli operatori dell’industria e della finanza concentrati nel Nord e Nord-Est del Paese, aree note per la loro capacità di esportazione. L’America rappresenta il secondo mercato più importante per l’Italia dopo l’Unione Europea, e questo spiega la vulnerabilità del Paese di fronte a eventuali spinte protezionistiche. La storia ha insegnato che il protezionismo, sebbene non sia una novità, richiede un’attenzione meticolosa: già dal 2016, abbiamo assistito a una fase di globalizzazione meno liberale rispetto al passato. Questo cambiamento è stato in parte dovuto alla Cina e al suo approccio mercantilista aggressivo, che ha innescato un ripensamento sulle aperture commerciali in Occidente.
Durante la presidenza di Trump, i dazi inaugurati nel 2018 portarono un onere, ma non furono l’Armageddon temuto. L’assetto non è mutato radicalmente con Joe Biden, che ha mantenuto buona parte delle politiche tariffarie del suo predecessore, rafforzandole in certe aree strategiche con misure di incentivazione industriale all’interno degli Stati Uniti. Questo approccio ha messo in difficoltà le imprese europee e italiane, che hanno tuttavia dimostrato una certa resilienza.
L’arte del lobbismo ha giocato un ruolo cruciale nel navigare queste acque tumultuose. Negli USA, le attività di pressione sono permesse, a patto che rispettino le normative vigenti. Quando iniziò l’era dei dazi, gli importatori statunitensi furono i primi a muoversi, cercando deroghe e sconti che consentissero di continuare a operare senza subire perdite troppo pesanti. Questo tipo di contrattazione è destinato a riproporsi con il nuovo mandato presidenziale, che inizierà ufficialmente a gennaio.
L’Italia, considerando le affinità politiche del governo Meloni con l’amministrazione Trump, potrebbe cercare di sfruttare tale vicinanza per trarre vantaggio in un contesto dominato da protezionismi. Ciononostante, resta cruciale il ruolo dell’Europa quale blocco unito nelle trattative commerciali, sebbene attualmente indebolito dai cambi di governo in Germania e Francia che potrebbero spingere Trump verso relazioni bilaterali più facilitate.
Come suggerito dalla presidente della BCE, Christine Lagarde, esiste la possibilità di mitigare l’impatto delle misure protezionistiche americane attraverso un incremento nell’acquisto di beni statunitensi da parte dell’Europa, un orientamento già parzialmente in atto nei settori dell’energia e della difesa. L’opportunità sta quindi nel rivalutare gli approcci alla decarbonizzazione, considerando le relazioni commerciali transatlantiche.
In uno scenario più ampio, anche la geopolitica gioca un ruolo: il ritorno di Trump potrebbe cambiare le dinamiche in Ucraina, laddove un dialogo con l’Europa potrebbe evitare una deriva simile alla ritirata da Kabul. Per raggiungere un equilibrio in Medio Oriente, le relazioni di Trump con Israele necessiteranno di bilanciamenti strategici, facilitati dalle sue connessioni con l’Arabia Saudita.
Il sistema Italia, in preparazione alla seconda amministrazione Trump, deve adottare strategie che bilancino rischi e benefici. I mercati finanziari globali, con il dollaro forte e le borse USA in crescita, sembrano dare un segnale di continuità di crescita economica, un aspetto che può compensare alcune ricadute negative del protezionismo. Durante le festività di fine anno, il “made in Italy” è stato più accessibile in termini di prezzo, suggerendo che gli aggiustamenti valutari possono fornire opportunità in situazioni di cambiamento politico così significative.