Il 16 dicembre scorso, le autorità italiane hanno tratto in arresto Mohammad Abedini-Najafabadi, un quarantottenne di origine iraniana e cittadino svizzero, all’aeroporto di Milano-Malpensa. Proveniva da Istanbul e si dirigeva in Svizzera. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Abedini-Najafabadi è considerato l’uomo legato ai droni utilizzati dai pasdaran di Teheran, ed è accusato di aver fornito il materiale tecnologico per un attacco in Giordania che ha provocato la morte di tre soldati americani.
Abedini-Najafabadi è attualmente detenuto nel carcere di Busto Arsizio. Al momento dell’arresto, ha rifiutato di accettare l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti, limitandosi a pronunciare un secco “no” durante l’udienza. Non ha cambiato il suo difensore d’ufficio con uno scelto da lui né ha deciso di rilasciare dichiarazioni. La corte d’appello di Milano ha ricevuto la richiesta di confermare l’arresto e applicare la custodia cautelare.
Le accuse nei confronti di Abedini-Najafabadi provengono da un tribunale di Boston, che sostiene che il sistema di navigazione del drone impiegato nell’attentato del 28 gennaio 2024 alla base americana “Tower 22” in Giordania sia stato acquisito nello stato del Massachusetts e venduto attraverso una società svizzera, la “Illumove Sa”. Questa società avrebbe agito come copertura per la sua azienda iraniana “San’at Danesh Rahpooyan Aflak Co” (SDRA), che avrebbe fornito tecnologia al “Corpo delle guardie della rivoluzione islamica” (IRGC). Gli Stati Uniti classificano l’IRGC come un’organizzazione terroristica.
Le imputazioni includono cospirazione, associazione a delinquere e violazione delle leggi sul commercio di componenti elettronici a duplice uso, risultando in potenziali pene severissime per Abedini-Najafabadi e per il suo presunto complice, il cittadino statunitense e iraniano Mahdi Mohammad Sadeghi, arrestato nello stesso giorno nel Massachusetts.
Nonostante la richiesta di estradizione degli Stati Uniti, l’Iran attraverso il suo console rafforza il suo interesse per Abedini-Najafabadi e ha già fatto una visita in carcere per interessarsi delle sue condizioni. Si attende ora che la Corte d’Appello italiana esamini gli atti completi del caso per giungere a una decisione finale.