La Siria rappresenta per Vladimir Putin un simbolo di autoaffermazione del suo ruolo come leader globale. Tuttavia, dal punto di vista della Russia, tale regione costituisce un peso ingombrante, richiedendo un notevole dispiego di forze militari, politiche ed economiche senza offrire alcun reale vantaggio in cambio. Evgenij Savostyanov, ex generale del FSB e analista di spicco del panorama russo, commenta la situazione con un certo distacco, tipico di chi conosce da vicino le dinamiche del Cremlino.
Savostyanov, noto per aver avuto un ruolo nella ristrutturazione del vecchio KGB di Mosca sotto Boris Eltsin, ha in passato manifestato il suo dissenso nei confronti della censura crescente all’interno del governo russo, culminando nel 2015 con le dimissioni dal ministero della Cultura. Il suo impegno prosegue nel 2022, con la sottoscrizione di documenti contro la guerra in Ucraina e l’uso delle minacce nucleari. Attualmente risiede all’estero, avendo sacrificato il proprio status e le proprie risorse rimaste a Mosca in nome della sua libertà di pensiero.
Per quanto riguarda le ricadute della caduta del regime di Assad, Savostyanov ritiene che si tratti principalmente di una sconfitta personale per Putin, inflitta dal presidente turco Recep Erdogan. Quest’ultimo ha già messo Putin in difficoltà in molteplici occasioni, dal Caucaso meridionale al Bosforo. Erdogan sta riacquistando a poco a poco ciò che la Turchia ha perduto nel secolo scorso, approfittando delle ambizioni revansciste di una Russia indebolita.
Sul piano militare e politico, le conseguenze per Mosca non paiono rilevanti. Le basi russe in Siria non permettono di affrontare obiettivi significativi, specialmente dopo che la Turchia ha interdetto l’accesso delle navi russe nel Mar Nero. L’influenza russa in Medio Oriente, un tempo sostenuta anche attraverso Siria, ha perso significato anche alla luce delle recenti sconfitte di Hamas e Hezbollah contro Israele. Dal lato economico, abbandonare la Siria potrebbe rivelarsi vantaggioso consentendo di concentrare le risorse russe sul conflitto ucraino.
Putin, noto per il suo stile comunicativo rigido e burocratico, intende gestire eventi come questi attraverso documenti e poche dichiarazioni. Il suo passato nel KGB ha fortemente influenzato la sua personalità, rendendolo abile nell’osservare e adattarsi agli interlocutori. In quanto leader, il suo sviluppo appare stagnante; il desiderio di mantenere il potere lo ha portato a sfidare l’Occidente, anche attraverso minacce nucleari che Savostyanov non considera solo un bluff.
Dal punto di vista economico, la Russia è sempre più dipendente dalla Cina, sebbene le nazioni BRICS, pur mantenendo una certa distanza, non siano disposte a fornire un concreto supporto finanziario ed economico. Il recente cambiamento di scenario in Siria, associato alla crisi economica interna, potrebbe spingere Putin a considerare una via d’uscita dal conflitto ucraino. Tuttavia, la sua posizione nei negoziati risulta inevitabilmente indebolita dagli eventi recenti, una situazione che richiama l’immagine di un “vecchio leone”.