La giornalista Cecilia Sala è stata detenuta nel carcere di Evin, in Iran, per sedici giorni. Questo periodo, che equivale a 384 ore, rappresenta un tempo interminabile sia per la giornalista che per i suoi familiari che l’aspettano con ansia. I genitori, attraverso un comunicato, hanno espresso il loro appello per la riservatezza auspicando che il clamore mediatico non ostacoli le delicate negoziazioni in corso per riportarla a casa. Il governo italiano sta facendo tutto il possibile per ottenere il rilascio, ma la situazione con Teheran si gioca a carte coperte ed è necessario muoversi con cautela.
È stato confermato che l’incarcerazione di Sala è legata al caso di Mohammad Abedini, un ingegnere iraniano dei droni arrestato a Milano per conto degli Stati Uniti. La famiglia della reporter, dopo essersi consultata con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il sottosegretario Alfredo Mantovano, ha sollecitato il silenzio stampa per non compromettere le trattative che coinvolgono anche gli Stati Uniti, creando così un complesso triangolo diplomatico.
Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia, ha avuto un dialogo con Tajani, sottolineando l’importanza di garantire condizioni di detenzione dignitose per la figlia. La preoccupazione principale riguarda le condizioni psicologiche della giornalista, la quale ha riferito di non avere neanche un cuscino su cui riposare. Nonostante il difficile isolamento, Cecilia ha potuto effettuare una chiamata il 1° gennaio, descrivendo la scarsità di beni essenziali, come un materasso e una mascherina per proteggersi dalla luce sempre accesa.
Il trattamento riservato a Sala appare in netto contrasto con quello ricevuto da Abedini, suscitando sgomento nella famiglia. La situazione ha spinto il governo a richiedere il rilascio immediato della giornalista. Rendere pubblica l’intera vicenda, secondo i genitori di Cecilia e le autorità, rischia di complicare ulteriormente l’esito delle negoziazioni.