A Bruxelles, il dibattito attorno alla questione del Green Deal e del ruolo delle ONG solleva interrogativi complessi, mettendo alla prova la trasparenza e l’influenza nelle decisioni politiche europee. I legislatori conservatori, nel corso dell’ultimo mese, hanno accusato la Commissione europea di finanziare attivisti ambientali per influenzare segretamente le politiche comunitarie, accusandola di promuovere interessi propri a discapito dei contribuenti. In risposta, le ONG coinvolte sostengono che il loro finanziamento contribuisce a un dibattito democratico sulle politiche dell’UE, asserendo di non ricevere pressioni dall’esecutivo europeo. Anche la Commissione ha chiarito che tali attività, comprese quelle di lobbying, rientrano nelle legittime iniziative delle ONG e non violano la legge.
La vera posta in gioco è chi domina il processo decisionale nei corridoi di Bruxelles, dove spesso chi dispone di maggiori risorse economiche riesce a esercitare più influenza attraverso i lobbisti. Un’analisi approfondita condotta da POLITICO ha esaminato 28 contratti tra la Commissione e diverse ONG, contratti che hanno scatenato l’ira dei legislatori di destra del Parlamento europeo.
Uno spunto di polemica è l’accusa di “lobbying ombra” e di presunte “istruzioni” per indirizzare la legislazione, come sostenuto dai rappresentanti del Partito Popolare Europeo (PPE). Tuttavia, non vi è nulla di occulto nel fatto che la Commissione sostenga economicamente le ONG, un atto approvato già nel 2020. Il programma LIFE, che regola questi contributi, intende equilibrare l’influenza nel dibattito pubblico, favorendo una rappresentanza più equa degli interessi pubblici di fronte a un settore privato spesso più munifico. Le condizioni per l’ottenimento delle sovvenzioni sono pubbliche e non indicano alcun obbligo per le ONG di adattarsi agli orientamenti della Commissione. Le dichiarazioni delle ONG e della Commissione ribadiscono che i programmi di lavoro sono elaborati autonomamente dalle organizzazioni e non sono soggetti a modifiche da parte della Commissione.
Dai contratti esaminati non emerge alcuna direttiva esplicita della Commissione affinché le ONG si impegnino in attività di lobbying per suoi specifici interessi. Viene, invece, chiarito che le opinioni espresse dalle ONG non necessariamente riflettono quelle della stessa Unione europea.
Nel mirino delle critiche è anche il presunto uso delle sovvenzioni per avviare attacchi legali, ad esempio contro agricoltori. Due contratti rivelano l’intenzione delle ONG di ricorrere a vie legali per migliorare l’applicazione delle normative ambientali dell’UE. Un episodio particolare riguarda un contratto che mira a promuovere prassi agricole rispettose dell’ambiente attraverso mezzi legali. Tali iniziative, benché abbiano sollevato polemiche all’interno del PPE, appaiono supportate da documentazione.
Gli attacchi al programma LIFE si spingono fino a ipotizzare che esso eroghi fondi per campagne diffamatorie contro determinati gruppi economici o politiche, come l’accordo commerciale Mercosur o il settore agricolo. Tuttavia, l’esame dei contratti non ha evidenziato piani di azioni specifiche contro il Mercosur né l’organizzazione di campagne di massa aggressive.
Per quanto riguarda la questione della trasparenza, gli eurodeputati si interrogano sulla modalità di assegnazione delle sovvenzioni. I richiami alla scarsa trasparenza sono stati contestati ricordando che le domande di sovvenzione passano attraverso procedure pubbliche e sono valutate da agenzie dell’UE indipendenti. I risultati di tali processi e i beneficiari delle sovvenzioni sono resi pubblici, mentre rigorosi controlli cercano di garantire l’adesione alle regole per l’utilizzo dei fondi.
Pertanto: scrutinio giusto o persecuzione infondata? È una questione aperta fra dibattiti accesi e la necessità di una riflessione costruttiva sulle dinamiche di partecipazione democratica nell’Unione Europea.