È ormai chiaro chi trarrà maggior profitto dall’imposizione dei dazi introdotti dal presidente Donald Trump. Non saranno né le aziende statunitensi né i lavoratori delle città industriali come Portland e Detroit, bensì le organizzazioni criminali. Questi gruppi, esperti nell’eludere le imposte, giocheranno un ruolo chiave nel mantenere il flusso di merci, consentendo la continuazione degli scambi senza l’aggravio dei costi imposti dai nuovi dazi. L’argomento, tuttavia, riceve poca attenzione nei dibattiti pubblici e nei media, un tempo più reattivi nel svelare i lati nascosti delle decisioni politiche ed economiche.

Il settore illegale viene spesso erroneamente considerato marginale nell’economia. In realtà, rappresenta una parte fondamentale per comprendere le scelte politiche effettive. In un mondo imprenditoriale sempre più sfumato tra legale e illegale, le possibilità di profitto spesso richiedono di operare al di fuori dei confini legali, ma senza cadere nell’illegalità totale. Questa è la realtà del capitalismo odierno, profondamente influenzato dalle logiche mafiose.

Donald Trump, proveniente dal mondo degli affari dell’America degli anni ’80 dominato dalla criminalità organizzata, è consapevole delle necessità delle aziende statunitensi di mantenere i costi bassi, anche per prodotti provenienti da paesi soggetti a dazi. Non sorprende quindi che, nonostante le barriere commerciali, merci europee, cinesi, indiane e vietnamite continueranno probabilmente a raggiungere gli Stati Uniti attraverso rotte illegali, sfruttando varchi nei controlli alle frontiere con Canada e Messico o attraverso porti come quelli di Philadelphia, Miami e Long Beach.

Le autorità statunitensi sono ben consce delle implicazioni di questi provvedimenti e della disponibilità delle organizzazioni mafiose ad adattarsi a questo nuovo contesto, simile a quello del proibizionismo. La legalizzazione del contrabbando di merci, a differenza di quello di droga o armi, potrebbe persino essere tollerata da una vasta parte della società, nonostante la sua illegalità. Trump, agendo secondo la sua ben nota spietatezza e ispirazione dal suo mentore Roy Cohn, è ben consapevole delle dinamiche di questi processi.

Gli escamotage per bypassare i dazi saranno vari e sofisticati. Alcune merci cercheranno di essere classificate come provenienti da paesi senza dazi, mentre altre subiranno manipolazioni più complesse, come il coinvolgimento di paesi terzi o il processo produttivo diviso tra varie nazioni. Ad esempio, un prodotto cinese potrebbe essere etichettato come originariamente fabbricato in Argentina per evitare le imposte, richiedendo però una parte significativa della produzione nel paese sudamericano, o la corruzione di aziende locali per falsificare i dati di origine.

I cosiddetti “porti ombra” giocheranno un ruolo cruciale in questo scenario, facilitando l’ingresso di merci non dichiarate o sottovalutate. Contro esami doganali minuziosi e tempi di transito prolungati, l’accesso a questo circuito illecito rappresenterà una via di fuga per molti esportatori. La situazione non è nuova neanche in Europa, come dimostrato dai traffici di benzina di contrabbando tra Malta, Slovenia e Montenegro. Anche le rotte del petrolio libico gestite dalle milizie ne sono un esempio, svelando l’importanza geopolitica di queste attività illecite.

In sintesi, Donald Trump ha innescato una nuova era di opportunità per i gruppi mafiosi, che diventeranno figure chiave nell’elusione dei dazi e interlocutori privilegiati delle imprese globali. Questa situazione si sviluppa sotto l’ombra di una politica che vede il contrabbando non solo come una conseguenza indesiderata, ma anche come un mezzo per perpetuare una logica di profitto che affonda le radici in una storia di rapporti tra affari e criminalità.

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