Venticinque anni fa, l’Unione Europea si era indignata all’idea che un politico di estrema destra come Jörg Haider potesse entrare nel governo austriaco, trasformando il paese in un paria virtuale. Oggi, di fronte alla prospettiva che Herbert Kickl, un intransigente di destra che propone la “rimigrazione” per gli immigrati di seconda e terza generazione, diventi il prossimo cancelliere dell’Austria, la reazione dei leader europei è stata finora di sopportare in silenzio, sperando che Kickl non si riveli altrettanto dirompente come le sue precedenti posizioni lasciano supporre.
I tempi in cui i leader dell’UE, convinti della necessità di difendere i valori centristi del blocco da posizioni estreme, sanzionavano l’Austria nel 2000 o avviavano procedimenti dell’Articolo 7 contro la Polonia nel 2017 sembrano lontani. Ora, la massima protesta che Kickl potrebbe affrontare in caso di vittoria elettorale si ridurrebbe a qualche linguaggio corporeo imbarazzante e a un’accoglienza poco calorosa da parte dei suoi omologhi europei. Secondo un diplomatico dell’UE, “forse non sorrideranno quando verranno fotografati con lui, ma questo sarà il limite della protesta”.
L’accettazione probabile del Partito della Libertà, di estrema destra, nello scenario politico europeo, coincide con la fine del cordone sanitario che ha tenuto lontani i populisti di destra dal potere per decenni in Europa. Recentemente, l’attuale cancelliere austriaco ad interim, Alexander Schallenberg, ha effettuato un viaggio dell’ultimo minuto a Bruxelles per rassicurare i partner sull’affidabilità e la costruttività dell’Austria all’interno dell’Unione Europea.
Nonostante le preoccupazioni circa la direzione politica austriaca sotto la guida di Kickl, due diplomatici dell’UE, parlando in forma anonima, hanno sottolineato che è improbabile che i leader avanzino una protesta formale contro l’Austria.
La moderazione verso l’Austria è in linea con il trattamento riservato all’Ungheria, che non ha dovuto affrontare altro che un divieto di ospitare un incontro sulla difesa, nonostante il premier Viktor Orbán abbia incontrato il presidente russo Vladimir Putin all’inizio della presidenza ungherese del Consiglio dell’UE lo scorso anno. Un diplomatico europeo ha suggerito la possibilità di avviare procedimenti dell’Articolo 7 contro Ungheria e Austria come segnale alla Francia, dove Marine Le Pen punta a una quarta corsa presidenziale nel 2027.
Tuttavia, misure disciplinari aggiuntive sembrano improbabili, come indicato dal Commissario europeo per lo Stato di diritto, Michael McGrath, che ha affermato in dicembre che non è mai troppo tardi per un cambiamento positivo da parte dell’Ungheria. Dopo un aumento del sostegno ai partiti di estrema destra nelle elezioni del Parlamento Europeo dell’anno scorso, il firewall che separava i partiti mainstream dai gruppi populisti di destra o sinistra è rapidamente scomparso.
Il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha sorpreso molti funzionari dichiarandosi pronta a lavorare con il primo ministro italiano Giorgia Meloni, che ha attenuato le sue posizioni anti-UE da quando ha assunto il potere. Tuttavia, lo stesso non si può dire per Orbán o per il primo ministro slovacco Robert Fico, noti per la loro vicinanza a Putin e le critiche all’UE.
Secondo i diplomatici, Kickl rappresenta un ideologo rigido, potenzialmente più difficile da gestire rispetto a Orbán, sebbene possa essere contenuto da un accordo di coalizione. L’aumento della presenza di populisti di destra nel Consiglio Europeo avrà un impatto più ampio sulle politiche del blocco, secondo Milan Nic del German Council on Foreign Relations. La linea tra i populisti di destra e i leader conservatori in Europa è quasi scomparsa, con partiti populisti che sostengono dirigenti in diversi paesi.
In questo panorama politico, la visibile diminuzione del firewall è evidente nei diversi organi dell’UE, inclusa la Commissione e il Parlamento Europeo, dove le collaborazioni tra partiti tradizionali e gruppi più estremisti stanno diventando sempre più comuni.