La sfiducia recentemente espressa nei confronti del cancelliere tedesco Olaf Scholz rappresenta solo la punta di un iceberg molto più vasto, simboleggiando una crisi profonda e esistenziale che affligge la Germania moderna. Questo Paese, storicamente associato a una radicata etica del lavoro, ha visto un aumento significativo dell’assenteismo tra i suoi lavoratori. Secondo i dati dell’Ocse, il numero di giornate lavorative perse per malattia è salito a 22,4 all’anno, un record tra le nazioni industrializzate. Tale fenomeno solleva dubbi sulla genuinità delle assenze per malattia, soprattutto in seguito alla pandemia, quando i consulti medici telefonici sono diventati una routine, facilitando l’ottenimento dei certificati di malattia.

Questo scenario si inserisce in un contesto di declino del consenso verso il mondo industriale tedesco, indicando una crisi che è ben più profonda di una semplice crisi governativa. Si tratta di una crisi sistemica che potrebbe segnare la fine di un modello che ha per lungo tempo caratterizzato la nazione. Le ripercussioni di questo declino sono trasversali e colpiscono vari ambiti: per l’Europa, che potrebbe trovarsi senza una guida determinante; per l’Italia, la cui economia è fortemente connessa a quella tedesca; e per gli equilibri geopolitici con alleati come gli Stati Uniti e potenziali avversari come la Russia e la Cina.

Oltre agli aspetti economici, la situazione attuale in Germania coinvolge anche una dimensione culturale e morale. Le scelte ambientali, con la Germania in prima linea nella decarbonizzazione, e l’approccio all’immigrazione sono questioni cruciali. Recentemente, il Paese ha chiuso le proprie frontiere, segnando la fine della “Willkommenspolitik” di accoglienza dei rifugiati, simbolo dell’era Merkel.

Per comprendere l’attuale crisi tedesca, è utile tornare indietro nel tempo alla riunificazione tedesca del 1990. L’evento fu fonte di preoccupazione per molti leader mondiali, che temevano il potenziale predominio di una Germania riunificata in Europa. Allora, come oggi, il Paese si trovava al centro di un complesso intreccio politico ed economico globale. Negli anni successivi, la Germania si integrò pienamente nell’Unione Europea, instaurando forti legami economici con la Russia per il gas e con la Cina per il commercio, mentre si affidava agli Stati Uniti per la sicurezza.

Tuttavia, quella che sembrava una solida interdipendenza si è dimostrata un punto debole nella nuova realtà globale. L’uscita della Germania dalla sua zona di comfort, dettata dalla dipendenza energetica dalla Russia e dalle politiche protezionistiche della Cina, sta mettendo a rischio la stabilità del Paese e la tenuta del suo governo. La Germania, un tempo pilastro della globalizzazione, si trova ora a fare i conti con un mondo profondamente cambiato.

In passato, la Germania ha vissuto due grandi miracoli economici: il primo dopo la Seconda Guerra Mondiale e il secondo dopo la riunificazione. Entrambi gli eventi furono caratterizzati da scelte decisive che portarono a una crescita significativa. Ora, il contesto geopolitico ed economico che aveva favorito quella crescita è drasticamente cambiato. La Germania deve affrontare queste sfide e trovare un nuovo equilibrio in un mondo che non permette più il lusso della dipendenza unilaterale.

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