Izabella Kaminska, editor finanziario senior di POLITICO, analizza come l’Europa stia affrontando un cambiamento radicale nel modello economico americano. In quello che appare come un confronto economico con gli Stati Uniti, l’Europa sembra prepararsi a combattere un avversario del passato. Non è più il sostegno statale incarnato nel Bidenomics che deve preoccuparla; ciò che realmente incombe è una liberalizzazione molto più significativa del modello economico statunitense.
Negli ultimi decenni, molti in Europa hanno coltivato l’idea che il benessere economico degli Stati Uniti fosse frutto di mercati liberi e spirito imprenditoriale. Questo concetto è stato messo in discussione dall’economista Mariana Mazzucato nel 2013. Nel suo libro, “The Entrepreneurial State”, ha svelato che molte delle più importanti innovazioni degli ultimi anni, tra cui internet e GPS, sono il risultato di investimenti governativi. La politica industriale americana, secondo Mazzucato, si fondava su spese per la difesa, sussidi mirati e innovazione statale.
L’Inflation Reduction Act del presidente Biden, dal valore di 369 miliardi di dollari, ha rafforzato questo quadro, fornendo supporto a industrie sostenibili e in particolare ai veicoli elettrici statunitensi. L’iniziativa è stata percepita in Europa come un eccessivo interventismo governativo volto a sottrarre investimenti dall’UE. Di conseguenza, l’Europa è diventata ancora più determinata a competere utilizzando strategie industriali simili, evidenziando i campioni europei e approvando rapidamente i sussidi.
Tuttavia, una nuova era sembra prendere piede negli Stati Uniti, un’era che non ruota più intorno ai sussidi statali o alla preferenza regolatoria settoriale. È un tempo in cui si demolisce tale modello a favore di un capitalismo nazionale, che sottolinea la liberalizzazione estrema, rifiuta l’intervento statale e si affida alle forze di mercato, pur all’interno di un contesto protetto.
In Europa, questa nuova direzione è largamente fraintesa. Ancorata a vecchie battaglie, Bruxelles combatte testardamente con strumenti ormai superati. L’amministrazione Trump ha ridisegnato le dinamiche economiche globali, proponendo una politicizzazione dei dazi non per perseguire protezionismo o sottrarre vantaggi, ma per riscrivere le regole economiche e isolare gli Stati Uniti durante una radicale ricalibrazione orientata al mercato.
Anche le pratiche antitrust riflettono questo cambiamento. Con Andrew Ferguson come guida della Federal Trade Commission, l’America sembra voler rinvigorire le proprie leggi per promuovere la concorrenza. Al contrario, il Digital Markets Act europeo sembra poca cosa, una risposta cauta al potere delle corporazioni tecnologiche, incapace di rivaleggiare con lo spirito aggressivo degli iniziatori del trust-busting.
Questo approccio innovativo attraversa diversi settori, dalla possibile privatizzazione del servizio postale e delle istituzioni finanziarie pubbliche, come Fannie Mae e Freddie Mac, fino a proposte di riforme orientate al mercato nell’istruzione e nello spazio. Nel campo della difesa, la strategia di Trump mira a rompere le relazioni consolidate con gli appaltatori, promuovendo un ambiente competitivo dove le piccole e agili imprese possano innovare.
Nelle finanze, la critica di Trump agli aiuti statali per le banche suggerisce una crisi del modello di banca centrale tradizionale. E la proposta di esplorare una riserva di bitcoin potrebbe segnare la fine del sostegno statale al sistema bancario come lo conosciamo.
Infine, la visione di Trump ripensa il contratto sociale, trasferendo il focus del protezionismo statale dalla micro alla macro gestione. L’Europa rischia di fraintendere questo mutamento di paradigma, con gravi ripercussioni economiche e strategiche.