L’Europa si trova in una situazione critica. Con l’imminente ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e l’economia del continente in difficoltà, le fondamenta della prosperità della regione non solo mostrano crepe, ma rischiano di crollare. Negli ultimi decenni, l’economia europea ha dimostrato una resilienza sorprendente, grazie all’espansione verso est del blocco e alla forte domanda per i suoi prodotti da parte di Asia e Stati Uniti. Tuttavia, con il rallentamento del lungo boom della Cina e le crescenti tensioni commerciali con Washington, il futuro appare meno roseo.
Il vento economico che soffia sul continente potrebbe trasformarsi in una tempesta perfetta nel prossimo anno, mentre Trump, finalmente libero da vincoli, concentra la sua attenzione sull’Europa. Oltre a introdurre nuovi dazi su una vasta gamma di prodotti, il nuovo leader mondiale è certo di ribadire la sua richiesta affinché i paesi della NATO aumentino i loro contributi per la difesa o perdano la protezione americana. Ciò costringerà le capitali europee, già impegnate a contenere i deficit crescenti a fronte di introiti fiscali in calo, a fronteggiare tensioni finanziarie ancora maggiori, scatenando potenzialmente ulteriori sconvolgimenti politici e sociali.
Sebbene recessioni e guerre commerciali possano arrivare e passare, ciò che rende particolarmente pericoloso questo momento per la prosperità del continente è una scomoda verità: l’UE è diventata un deserto in termini di innovazione. Nonostante l’Europa possa vantare una ricca storia di straordinarie invenzioni, dagli autoveicoli al telefono, passando per la radio, la televisione e i farmaci, oggi è diventata un’eterna inseguitrice. Un tempo sinonimo di tecnologia automobilistica all’avanguardia, ora l’Europa non ha un singolo modello tra i 15 veicoli elettrici più venduti. Secondo un recente rapporto dell’ex primo ministro italiano e banchiere centrale Mario Draghi, solo quattro delle 50 principali aziende tecnologiche mondiali sono europee. Continuando su questa strada, l’Europa rischia di trasformarsi in un museo a cielo aperto, decadente e coperto di debiti, frequentato da turisti americani e cinesi.
La presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde ha avvertito, in un discorso a novembre, che il modello sociale dell’Europa sarebbe a rischio se non ci fosse un drastico cambio di rotta. Ha sottolineato l’importanza di generare la ricchezza necessaria per affrontare le crescenti esigenze di spesa in ambiti come sicurezza, cambiamenti climatici e tutela ambientale. Draghi è stato ancora più diretto, definendo la questione “una sfida esistenziale”.
Purtroppo, riparare l’infrastruttura economica del continente appare un compito arduo. Con Trump alla guida del paese e i repubblicani che controllano entrambi i rami del Congresso, l’Europa è esposta come mai prima d’ora ai capricci delle politiche commerciali statunitensi. Se il presidente americano decidesse di attuare la minaccia di imporre dazi fino al 20% sulle importazioni dal continente, l’industria europea subirebbe un duro colpo. Nonostante il significato centrale degli Stati Uniti come mercato di destinazione per le esportazioni europee, sembra che l’Europa non si sia adeguatamente preparata al possibile ritorno di Trump. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha suggerito di acquistare più gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, ma questa non può considerarsi una strategia a lungo termine.
L’attuale situazione non è circoscritta soltanto a Donald Trump, bensì rappresenta un problema di radice più profonda. Se l’Europa avesse un modello economico solido e competitivo al pari di quello statunitense, Trump avrebbe ben poco margine di influenza sul continente. Tra il 2000 e oggi, si è osservato un notevole divario in termini di competitività economica tra Europa e Stati Uniti. Il differenziale del PIL pro capite, ad esempio, è cresciuto fino al 30%, in gran parte a causa della minore crescita della produttività nell’UE. In parole semplici, gli europei lavorano meno; un lavoratore medio tedesco, ad esempio, lavora oltre il 20% di ore in meno rispetto a un collega americano.
In definitiva, l’attenzione rimane focalizzata su Trump, ma la vera sfida che l’Europa deve affrontare risiede altrove: nella necessità di rinnovare il proprio approccio economico per riuscire a mantenere il passo con il resto del mondo.
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