A circa 30 chilometri da Damasco, nella frazione di Zamalka, si trovano le fosse comuni delle vittime del gas Sarin, usato nel 2013 durante la guerra civile siriana. Secondo lo sceicco Mahmoud, che dopo un’assenza di sei anni è tornato sul luogo, almeno 1.300 persone sono state sepolte in un piccolo cimitero creato appositamente, con cadaveri sovrapposti in fosse profonde ben quattro metri. Questa terribile storia è emersa durante il ritorno in zona dello sceicco, figura religiosa e ribelle, il cui figlio Omar è diventato un guerrigliero dopo essere sopravvissuto a violenze e torture.
Nel 2013, in una fredda notte di agosto, cinque missili carichi di gas Sarin vennero lanciati provocando il decesso di moltissimi civili, molti dei quali morirono nel sonno. Coloro che si trovavano nelle vicinanze dei lanciatori non ebbero scampo, mentre solo chi si trovava lontano riuscì a salvarsi chiudendosi in casa o fuggendo in auto. Gli effetti del gas furono devastanti: dai bruciori al vomito, dalle convulsioni alla paralisi, fino a gravi disturbi della vista.
Il Sarin, noto per colpire il sistema nervoso, è un’arma di distruzione di massa già utilizzata in passato da Saddam Hussein contro la popolazione curda. Gli Stati Uniti si accorsero dei piani di Bashar al-Assad di procurarlo durante la “Primavera siriana”, ma sebbene Obama avesse posto un’avvertenza per il suo uso, il massacro di Ghouta segnò un triste capitolo della storia, poiché il presidente statunitense non reagì in modo significativo.
Dopo quell’evento, sembra che Assad smise di usare il sarin, forse intimidito da eventuali ritorsioni internazionali. Si passò invece a metodi di guerra più rudimentali ma non meno devastanti, come i barili bomba, riempiti di sostanze esplosive e chimiche, che furono lanciati dagli elicotteri. L’organizzazione Syrian Network for Human Rights stima che queste bombe abbiano causato 11 mila morti in vari anni di conflitto.
Il territorio di Ghouta, sebbene siano trascorsi sei anni dalla fine dei principali combattimenti, appare devastato: chilometri di edifici distrutti, macerie ovunque, luoghi ormai irriconoscibili. Eppure, tra quei ruderi, si ritrova ancora chi cerca di costruirsi un nuovo presente.
Tra i sopravvissuti emergono anche testimonianze come quella di Khaled Nouh, che ricorda come la strada verso Ghouta fosse considerata un “cimitero dei tank” per l’incapacità del regime di penetrare via terra, costringendolo a ricorrere a bombardamenti dal cielo. E si continua a constatare violenze anche dopo il sarin, come nel caso di Douma nel 2018, quando fu usato cloro, un altro gas letale, portando alla morte di numerosi civili.
La tragedia del 2013 viene ricordata come un episodio tra i più tristi del conflitto siriano, con vite bruscamente interrotte e terribili decisioni prese dai sopravvissuti per far fronte all’emergenza. Lo sceicco Mahmoud narra di come, per la necessità di agire rapidamente sotto i bombardamenti, non si potesse garantire che tutti i sepolti fossero veramente deceduti. In qualche caso, persone considerate ormai morte mostrarono segni di vita, facendo emergere un dramma ulteriore in una storia già tanto dolorosa.