Nel corso di oltre mille anni, gli scacchi hanno rappresentato un’allegoria del conflitto bellico. Vladimir Putin, tuttavia, ha saputo fondere l’antico gioco con le moderne tattiche astute nel tentativo di prevalere in un conflitto reale del 21° secolo. La stretta connessione tra strategia geopolitica russa e scacchi, che includono cavalli, torri, re e regine, è tale da rendere difficilmente distinguibile il confine tra sport e vera battaglia.
A tre anni dall’invasione dell’Ucraina su vasta scala, un illustre giocatore russo ha assunto il ruolo di portavoce del Cremlino, contribuendo direttamente con la fornitura di attrezzature militari alla linea del fronte. Opposti a lui, non sul tradizionale scacchiere ma sul campo delle opinioni internazionali, ci sono il grande maestro più celebre della storia e l’allenatore del miglior giocatore contemporaneo, entrambi critici accesi delle azioni presidenziali.
Nonostante l’Occidente abbia tagliato i rapporti con la Russia in seguito all’invasione del 2022 attraverso sanzioni economiche, restrizioni commerciali e sportive, Mosca ha mantenuto sorprendentemente il controllo su nodi chiave nel mondo degli scacchi. Tornei importanti continuano a svolgersi anche in territori ucraini occupati come la Crimea e il Donbass, fatto che ha suscitato accuse secondo cui il gioco sarebbe diventato un mezzo di soft power per il Cremlino al fine di legittimare la sua condotta bellica.
Il legame tra Mosca e gli scacchi è antico e radicato, e Arkady Dvorkovich incarna alla perfezione la fusione di sport e politica. Presidente della Federazione Scacchistica Mondiale (FIDE), Dvorkovich è stato un funzionario di alto rango del Cremlino, in passato viceministro sotto il governo di Putin. Figurando come emblema del connubio tra diplomazia sportiva e politica moscovita, ha affrontato critiche da personaggi come Garry Kasparov, il quale ha accusato la FIDE di fungere da “braccio estero” per i piani di Mosca.
Kasparov non esita a sottolineare come le azioni della FIDE si siano allineate agli obiettivi geopolitici russi, indicando che eventi scacchistici in aree strategiche quali Kazakistan e Pakistan coincidano con delegazioni del Cremlino. Tuttavia, nonostante le connessioni suggeriscano una sinergia, mancano prove inconfutabili di collusione diretta tra Mosca e l’organizzazione mondiale degli scacchi.
Mentre Dvorkovich continua a destreggiarsi tra i complessi interessi geopolitici e sportivi, Sergey Karyakin, noto campione di scacchi, si è trasformato in un fervente sostenitore della guerra di Putin, passando dal gioco allo scenario di guerra reale per sostenere attivamente la propaganda del Cremlino.
La differenza tra le operazioni della FIDE e l’attivismo sul campo è netta, e le sanzioni, come quella dell’UE contro Karyakin per il suo sostegno alla guerra, ne sono la testimonianza. Tuttavia, l’organizzazione degli scacchi a livello mondiale non ha ulteriormente punito Karyakin, suscitando critiche circa la sua capacità di mantenere standard etici nel caleidoscopico contesto internazionale.
Questo scenario complesso e provocatorio mette in luce la sfida globale dell’integrità delle istituzioni sportive di fronte a pressioni politiche sempre più pressanti, con la Russia che continua a giocare una partita a scacchi di influenza, potere e prestigio.