Nella recente conferenza stampa di dicembre, Vladimir Putin ha risposto con un proverbio russo ad una domanda sulla fine del conflitto in Ucraina, lasciando intendere che la speranza non basta senza azioni concrete. La sua retorica continua a dimostrare l’importanza che il leader russo attribuisce ai territori occupati nella regione di Kursk. Questa questione è per lui fondamentale nella negoziazione di un possibile accordo di pace. La memoria storica sembra pesare sul suo ruolo di presidente, tant’è che ha affermato di non voler passare alla storia come colui che cede territori della Federazione.

Nel frattempo, le tensioni tra Russia e Ucraina si riflettono anche nelle relazioni con altri paesi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto un’indagine sulla visita a Mosca del presidente slovacco Robert Fico, legata alle minacce di Kiev di interrompere il transito del gas russo attraverso il territorio ucraino, che causerebbe problemi energetici per la Slovacchia.

Le dichiarazioni di Putin appaiono ambigue e lasciano spazio a molte interpretazioni, anche all’interno dei media russi, che sembrano navigare in un clima di incertezza. Da un lato, testate come Moskovskij Komsomolets e Komsomolskaya Pravda si interrogano sulla realizzabilità dell’Operazione militare speciale entro il 2025, mentre dall’altro, Kommersant e Izvestia interpretano le parole di Putin come una volontà di porre fine al conflitto, seppur mantenendo una linea dura. L’espressione “Dio è con noi”, utilizzata da Putin, ha connotati storici e ideologici importanti e contribuisce ad alimentare questo clima di incertezza.

L’approccio del Cremlino in questa fase, quindi, sembra essere la vaghezza, con uno scenario che resta fortemente aperto a varie deduzioni, senza che siano state ancora impartite direttive chiare ai media ufficiali. Putin, pur sperando in una conclusione prossima del conflitto, si mostra determinato nel perseguire gli obiettivi prefissati dall’Operazione militare speciale, nel rispetto dei piani stabiliti dalla Russia.

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