Un’analisi recente pubblicata su WeChat da Zheng Yongnian, noto studioso di geopolitica vicino ai vertici del regime cinese, ha sollevato numerose discussioni riguardo alla possibilità di una Terza Guerra Mondiale. Il saggio, intitolato «La terza guerra mondiale e la sua polveriera asiatica», ha catturato l’attenzione di molti, inclusi alcuni esponenti del governo cinese. L’autore esplora la possibilità di un conflitto globale, sottolineando l’importanza per la Cina di prepararsi a una guerra, anche se non desidera iniziarla.
Secondo Zheng Yongnian, la disintegrazione dell’ordine mondiale stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale, incentrato sulle Nazioni Unite, ha riportato la geopolitica in un’epoca di competizione tra superpotenze. Questo scenario rende la Terza Guerra Mondiale un evento percepito come sempre più probabile da parte di molti. Zheng identifica l’Asia-Pacifico come il probabile campo di battaglia di un futuro conflitto, considerata la sua importanza strategica ed economica.
L’analisi evidenzia una serie di fattori che potrebbero innescare un conflitto globale nella regione asiatica: la presenza di forti interessi economici, l’influenza crescente degli Stati Uniti, la modernizzazione militare in corso e l’intensificarsi del nazionalismo in molte nazioni. Secondo Zheng, gli Stati Uniti, visti come uno dei principali motori di guerra, potrebbero beneficiare economicamente da un conflitto in Asia, soprattutto se le tensioni con la Cina continuano ad aumentare.
Dal punto di vista geopolitico, gli Stati Uniti hanno da tempo spostato la loro attenzione verso l’Asia. Già con l’amministrazione di Barack Obama, la strategia del «Pivot to Asia» ha segnato un cambiamento chiave nella politica estera americana, puntando a contenere l’ascesa della Cina. Tuttavia, le radici di questa politica risalgono agli anni successivi al crollo dell’Unione Sovietica, quando gli Stati Uniti iniziarono a cercare un nuovo «nemico» strategico, individuando infine la Cina come principale concorrente globale.
Il crescente militarismo nella regione, combinato con l’accumulo di armi e la creazione di alleanze strategiche, ha contribuito a una rapida escalation delle tensioni. L’Asia, secondo l’analisi di Zheng, sta affrontando un pericolo di guerra senza precedenti, con diversi Paesi che partecipano attivamente o passivamente a quello che viene definito un «gioco di guerra» sempre più minaccioso. Le dinamiche nazionalistiche stanno aumentando la volatilità della situazione, con molti Paesi che alimentano sentimenti patriottici e militaristi, contribuendo a un clima di instabilità.
In questo contesto, la Cina si trova al centro delle turbolenze geopolitiche. Zheng Yongnian sottolinea come il paese debba prepararsi a fronteggiare «cambiamenti mai visti da un secolo», un’espressione ricorrente nei discorsi di Xi Jinping. Questi cambiamenti richiedono una risposta strategica attenta, dato che le trasformazioni geopolitiche in atto mettono la Cina di fronte a sfide complesse.
L’analisi di Zheng, benché carica di propaganda e attribuendo molte delle colpe agli Stati Uniti, riflette chiaramente la visione del mondo della leadership cinese. La convinzione che il capitalismo occidentale abbia bisogno della guerra per risolvere le proprie contraddizioni interne è una tesi di matrice marxista-leninista, che riecheggia nelle politiche del Partito Comunista Cinese. Tale visione considera gli Stati Uniti come il principale attore destabilizzante a livello globale, in cerca di una guerra che possa risolvere le proprie difficoltà economiche e politiche interne.
Nonostante le accuse rivolte agli Stati Uniti, la Cina stessa ha giocato un ruolo attivo nell’aumentare le tensioni nella regione, con continue provocazioni militari nei confronti di Paesi vicini come Taiwan, le Filippine, il Vietnam e il Giappone. Le operazioni navali e aeree nel Mar Cinese Meridionale e nelle vicinanze di Taiwan sono solo alcuni esempi del comportamento assertivo di Pechino, che contribuisce ad alimentare un clima di incertezza e timore.
Inoltre, mentre l’analisi di Zheng condanna il nazionalismo in altri Paesi, non fa menzione del crescente nazionalismo interno alla Cina, promosso dal governo fin dai primi anni di istruzione. Questo nazionalismo sta alimentando un senso di rivalsa e superiorità tra i cittadini cinesi, rendendo più facile per il regime giustificare un eventuale conflitto armato.
L’analisi di Zheng Yongnian, in quanto espressione della mentalità dei vertici cinesi, offre una finestra importante sulla strategia geopolitica della Cina e sulla sua percezione del futuro. Anche se non si può prevedere con certezza se ci sarà una Terza Guerra Mondiale, è chiaro che la Cina si sta preparando per ogni eventualità.
Un articolo interesante, però sembra scritto più per spaventare che per informare. Serve più equilibrio nell’analisi, secondo me.
Certo che leggere ste cose fa paura… ma chissà quanto c’è di vero. Speriamo che alla fine prevalga la diplomazia.
Sta storia della terza guerra mondiale la sento da quanno so nato. Speriamo che rimanga solo un discorso e nun succeda niente.