Il giorno successivo all’insediamento di Donald Trump nel 2017, oltre un milione di persone si riversarono nelle strade in un atto di protesta senza precedenti. Fu una potente manifestazione di ripudio nei confronti di ciò che molti percepivano come un’incarnazione di mascolinità tossica alla guida del Paese. Le proteste, condotte principalmente da donne, segnarono un momento cruciale nei primi giorni della presidenza Trump. Tuttavia, a due giorni dalla sua seconda inaugurazione, la marcia di quest’anno sembra destinata a essere una debole imitazione di quella passata.
Il ridotto impatto di questa manifestazione riflette un’esasperazione mitigata e una probabile stanchezza politica tra le forze che si opponevano a Trump, un tempo così influenti nella politica americana. La sfida per i democratici è ricostruire una coalizione efficiente, una volta motivata dalla resistenza, in un contesto in cui alcuni si chiedono se collaborare con l’uomo che considerarono una minaccia per la democrazia.
Vanessa Wruble, una delle organizzatrici della marcia originale del 2017, quest’anno non ha intenzione di partecipare, dichiarando che il tempo di esprimere indignazione in quella maniera è passato. Non si riconosce più nel paradigma progressista che vede un’ala della sinistra “cannibalizzarsi completamente”. Le alte aspettative che la Women’s March possa attrarre altrettante persone come nel 2017 sembrano ormai lontane, specialmente considerando le temperature invernali e i residenti di Washington che evitano di restare in città durante i festeggiamenti federali.
Nel corso del tempo, anche l’obiettivo della marcia è mutato. Sebbene ancora abbia al centro il femminismo, è stata rinominata The People’s March, nella speranza di fungere da catalizzatore per una rinnovata attività politica. Tamika Middleton, oggi a capo della Women’s March, capisce le difficoltà degli attivisti progressisti che si sentono ora demoralizzati. Secondo lei, è fondamentale dare visibilità al malcontento, cercando di resuscitare tattiche collaudate con radici nei movimenti per i diritti civili.
Middleton, che si è unita all’organizzazione nel 2021, ha dovuto affrontare sfide come le lotte intestine passate, che portarono all’uscita di diverse organizzatrici originali. Questioni legate a problemi legali e di gestione finanziaria hanno minato la solidità del movimento, tanto che alcuni leader cercarono di far registrare il nome Women’s March per evitare problemi ulteriori con i capitoli locali. Tali avvenimenti, uniti alla sconfitta politica del vicepresidente Kamala Harris contro Trump, rappresentano ostacoli rilevanti per la marcia di quest’anno.
Krista Suh, cofondatrice del progetto Pussyhat, che caratterizzò le marce del 2017 con i suoi cappelli rosa, non prevede di partecipare. Ricorda come l’elezione iniziale di Trump rappresentasse un momento galvanizzante, mentre oggi la rielezione avviene in un contesto politico diverso. Le risposte tiepide alla marcia emergono in un momento di insoddisfazione all’interno del partito democratico, con Trump che ritorna a Washington mantenendo un forte controllo sul governo. Allo stesso tempo, l’assenza di una guida chiara nel partito amplifica un senso di disorientamento.
L’ex organizzatrice Wruble nota come la Women’s March si sia fratturata, rispecchiando la spaccatura più ampia nella sinistra politica. La “guerra delle informazioni” è, secondo lei, una battaglia persa, con i media conservatori che sfruttano divisioni interne. La sfida per ricostruire un movimento promettente è enorme. Middleton ammette che eguagliare l’impatto della marcia originale sarà difficile, sottolineando come catturare nuovamente quel momento storico unico sia un’impresa ardua.